Politica: tra riforme del Senato e dell’Italicum. Economia: tra dati interni e trend globale
Queste poche settimane dalla riaperture dei lavori parlamentari, dopo la lunga pausa estiva, paiono essere quelle più delicate per la legislatura.
Si pensava che, come accaduto in successione ai Governi Berlusconi, Monti e Letta, fossero le questioni economiche a poter mettere in crisi l’Esecutivo, anche alla luce del fatto che, nonostante le ormai note congiunture macro favorevoli, ma al contempo transeunte, costituite dai QE di Draghi, il prezzo del petrolio basso, i tassi ai minimi che avrebbero dovuto favorire la richiesta di prestiti ed i consumi, con l’auspicio inesaudito di far ripartire l’edilizia, il settore maggiormente colpito dalla crisi nonché quello in grado di generare più indotto, un Euro debole a tutto vantaggio dell’export, una vera ripartenza dei consumi, dell’occupazione, del mercato interno e di quello immobiliare non si era verificata; le condizioni sociali permangono molto delicate, il livello di tassazione, nonostante gli sforzi del Governo, altissimo, la spending review è ancora solo un buon proposito, ed il numero di poveri, o di quelli sulla soglia di povertà, in costante crescita.
Invece, ad essere il maggior elemento di rischio per l’Esecutivo Renzi, ripetendo una consuetudine tipica del nostro paese, sono questioni prettamente politiche. Tra l’altro, il passaggio più delicato arriva proprio in concomitanza della diffusione di dati economici in miglioramento, da parte sia di organismi internazionali (OCSE), sia da parte del MEF di Padoan.
Le questioni che potrebbero essere la scintilla della crisi sono le riforme istituzionali, non più solo quella del Senato, ma è ritornata prepotentemente alla ribalta anche quella sulla legge elettorale, non senza collegamenti rispetto alla prima. Ovviamente rimane una costante, usuale per l’attuale Governo, la tensione con i sindacati sul diritto di sciopero, jobs act, diritti dei lavoratori, pensioni e previdenza, continua, in una lotta che, ambedue le parti commettendo evidenti errori, stentano, volenti o nolenti, a raffreddare, e che genera attriti anche all’interno dello stesso PD. Quello dell’assemblea sindacale che ha bloccato il Colosseo è solo l’ultimo macro episodio tra tanti.
Nonostante le certezze del Ministro Boschi, che si dice sicura che i numeri in Senato per consentire il passaggio della riforma sulla seconda Camera siano forti, non sembra così sentendo, con orecchio oggettivo, le altre campane. Il M5S la trova una pessima riforma, mettendo in luce il rischio di conferire l’immunità ad una pletora di indagati, che in tal modo risulterebbero non più perseguibili per il periodo del loro mandato, in forza dell’immunità parlamentare. FI si è detta assolutamente intenzionata a non votare la riforma, così come la Lega di Salvini. I fuori usciti dal Partito Democratico osteggeranno ovviamente il provvedimento, ma è all’interno del PD che vi sono le crepe più profonde. Esse riguardano l’Articolo 2, che la Minoranza Dem vorrebbe modificare per reintrodurre il Senato elettivo da parte dei cittadini, meccanismo che, secondo la riforma, scomparirebbe, a vantaggio della nomina di componenti all’interno delle presidenze di Regione. Proprio quando un accordo sembrava poter essere concluso tra la sfera Renziana e la minoranza Dem, grazie all’espediente di modifica del comma 5 dell’Art. 2 che, non costituendo emendamento, avrebbe potuto consentire un passaggio parlamentare spedito, sì è pronunciato, contrapponendosi alle parole di ottimismo della Boschi, Pierluigi Bersani, ancora tremendamente attaccato alla nostalgica unità di un partito che di unitario ha rimasto ben poco (e da illo tempore), affermando che, qualora non lo si fosse capito, la posizione dei “dissidenti” Dem è quella di avere un Senato elettivo; non sono concesse deroghe a questa prerogativa. Al piacentino ha risposto il braccio destro di Renzi, Lorenzo Guerini, dicendo che si auspica che quello di Bersani non sia un tentativo di ricominciare tutto da capo e confermando la disponibilità al confronto, ma senza accettare veti, il che, parafrasando “ab lingua renzianorum” vuol dire: “parliamo pure un’oretta, ma poi facciamo come ha già deciso”. Anche all’interno della coalizione di Governo, non è scontato il supporto di NCD, circa 15 componenti potrebbero opporsi alla modifica. Alla luce di ciò, i voti dei Verdiniani non sembrano sufficienti a blindare il passaggio della riforma del Senato, inoltre esiste anche la spada di Damocle dell’interpretazione del Presidente Grasso, che potrebbe decidere, invece che per una votazione parlamentare complessiva sulla riforma, di procedere votando ogni singolo emendamento, il che significherebbe, dato l’ammontare delle modifiche presentate, in particolare dalla Lega, bloccare di fatto la riforma.
In questo dedalo di delicati rapporti di forza, rientra prepotentemente in auge l’Italicum, in particolare come pedina di scambio. La minoranza Dem potrebbe essere interessata al conferimento del premio di maggioranza alla coalizione anziché alla lista, mentre NCD ad un innalzamento della soglia di sbarramento. Una sorta di baratto per consentire un maggior potere ad alcuni partiti, tramite modifiche tecniche, ma dalle conseguenze politiche, all’impianto, in cambio di un supporto per la modifica del Senato. Come vediamo, proprio adesso che si sente tanto disquisire di sharing economy, la nostra politica, tornando al baratto ed allo scambio, la sta già collaudando (poi si dice che i politici sono retrogradi e vetusti, quando mai! Se l’interesse richiede innovazione, sanno essere più innovatori degli start-uppers della Silicon Valley!).
Domani (lunedì 21), in occasione della Direzione del Partito Democratico, sarà una giornata decisiva per capire come evolverà lo scenario e se i dissidenti del PD si faranno, come accaduto fino ad ora, chiudere all’angolo e dovranno capitolare, o se faranno la voce grossa. Nell’ultimo caso se volessero dare il loro fondamentale contributo per arrivare a nuove elezioni, non potranno non scindersi e dovranno intessere contatti ed aggregazioni all’uopo con M5S, FI e Lega.
Come detto precedentemente, qualche dato economico svolta in positivo: il pil è stato rivisto al rialzo, per il 2015 dallo 0.7% allo 0.9%, e dall’1.4% all’1.6% per il 2016; la disoccupazione è prevista leggermente in calo dal 12.6% al 12%; il debito dovrebbe anch’esso scendere dal 132.6% a circa il 131.8%; si attendono 12 miliardi, utili per scongiurare le clausole di salvaguardia, dalla lotta all’evasione e si attende maggior flessibilità europea, consentendo di arrivare al 2.2% nel rapporto deficit/pil anziché all’1.8% da piano di rientro, liberando così circa 6 miliardi, ma ciò costringendo ad innalzare il deficit ed a rimandare ancora una volta il pareggio di bilancio, spostato al 2018. Questi ultimi provvedimenti, riportati nel Def, dovranno essere vagliati dalla UE a metà ottobre, e non è automatico che vengano accettati, conoscendo l’attaccamento Europeo ai parametri, anche se la tragedia dei migranti viene tristemente a supporto delle richieste di maggior flessibilità.
L’errore che la politica non deve commettere è concentrarsi, crogiolandosi con questi dati, solo sulle riforme istituzionali, perché, se pure si potrebbe dire che l’Italia sia migliorata nei parametri, la situazione globale è in rallentamento e poco serve un lieve miglioramento italiano in un contesto in frenata. A fare monito di ciò è stato anche il G20, che vede rischi nel rallentamento delle economia emergenti (il Pil globale è stato rivisto al ribasso), a cominciare da Brasile (dove per la recessione molti avanzano la necessità di dimissioni della Presidente Blanchè) e Cina (alle prese con una crisi finanziare profonda), con il conseguente calo di consumi globali, e nella fattispecie di materie prime non energetiche. Anche le odierne elezioni Greche devono mantenere alta la tensione, perché, nonostante il silenzio di queste ultime settimane, rimangono importanti per delineare il destino europeo.
Come si è spesso detto quindi, va bene stare attenti al nostro piccolo giardino privato, ma senza mai abbassare lo sguardo da un orizzonte ben più lontano e travolgente, tremendamente connesso ai fatti di casa nostra ed influente per la nostra economia.
20/09/2015
Valentino Angeletti
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Draghi: a giugno misure non convenzionali (forse), ma l’Italia non dovrebbe tardare il pareggio di bilancio. Che Europa si vuole?
Il Governatore della ECB Mario Draghi ha deciso di mantenere invariati i tassi (0.25%) e, confermando la sua estrema capacità nel gestire l’effetto annuncio, ha ribadito la possibilità di utilizzare misure non convenzionali per contenere l’inflazione e l’eccessiva forza dell’Euro. Ha altresì indicato, e questa è la prima volta, una data ipotetica: giugno 2014. Ovviamente i mercati hanno reagito molto positivamente.
Più interessante però risulta la dichiarazione rivolta all’Italia nella quale Draghi afferma che non è un bene rimandare il pareggio strutturale di bilancio, come invece ha richiesto il MEF di Padoan a Bruxelles; proposta tuttora al vaglio della Commissione che dovrebbe pronunciarsi entro giugno (guarda caso quando misure monetarie non convenzionali potrebbero subentrare). Le motivazioni della posticipazione richiesta sono da cercarsi nel perdurare di gravi condizioni di crisi e nell’obiettivo, condiviso con l’EU, di saldare i debite delle PA vantati da fornitori privati.
Quanto perso avrà l’indiretto monito del Governatore (in genere molto influente) sulla commissione?
Questa dichiarazione di Draghi suona un po’ come un fulmine a ciel sereno perché se da un lato gli sforzi che l’Italia ha sopportato negli anni addietro per mantenere il rigore dei conti richiesto sono stati riconosciuti, dall’altro è indubbio che non possono essere richiesti altri sacrifici senza dare alcun segno tangibile, alcuna concessione, di apprezzamento. E pure il Governatore dovrebbe aver ben chiara la situazione economico sociale del paese così come dovrebbe aver chiare le condizioni in cui versano Grecia, Cirpo e Portogallo, buone nei numeri ma piuttosto critiche per la popolazione.
Se la via condivisa da tutti i partiti che non si professano anti-euro ed euro-scettici è quella di un rinnovato approccio dell’Europa alle politiche economiche e monetarie che asservano più all’economia e meno alla finanza la quale deve fungere da acceleratore alla produzione, possibilmente in modo diretto e senza intermediari che hanno distorto e neutralizzato alcuni meccanismi, e non ridursi ad uno strumento di mera rendita speculativa, quella di Draghi sembrerebbe quasi una sterzata verso la continuità con la politica del rigore che tanto male ha fatto fino a qui a quella che potenzialmente potrebbe essere la più grande economia del mondo, l’Europa Unita.
Link correlati (solo di Aprile):
Padoan lancia un messaggio alla ECB di Draghi per una politica monetaria più aggressiva? 29/04/2014
Molto Soft e low profile, ma la richiesta di allentamento si concretizza 16/04/2014
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08/05/2014
Valentino Angeletti
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Corte dei Conti giudica la Legge di Stabilità
La Legge di Stabilità è stata giudicata molto severamente dalla Corte dei Conti (Link articolo AGI). I punti sollevati dalla Corte sono svariati, in particolare emerge che al gettito previsto per il periodo 2017-2020 potrebbe essere deficitario per 13.7 miliardi di €, mentre nel triennio 2014-2016 il prelievo netto salirebbe di 4.7 miliardi di € dei quali 2 nel solo 2014. Per il triennio 2014-2016 si legge che l’imposizione complessiva ammonterebbe ad oltre 28.5 miliardi mentre gli sgravi, non sufficienti a compensare gli aumenti, si fermerebbero a 24 miliardi, ciononostante per l’anno in corso sarebbero a rischio 3 miliardi di entrate.
La natura recessiva della Legge è piuttosto chiara, come lampante è l’intento di continuare a perseguire i parametri imposti dall’Europa ove è sempre più urgente una revisione della politica fiscale e monetaria rivolta più alla crescita e meno all’austerità, più indirizzata a sostenere il lavoro e meno il settore bancario il quale per forza di cose dovrà essere unificato e dovrà essere oggetto di controllo e revisione dei bilanci troppo spesso mascherati grazie all’utilizzo di strumenti finanziari particolari e della shadow banking; i criteri di Basilea, benché rivisti all’insegna di maggior permissività, ed i venturi stress test dovrebbero essere d’aiuto, assieme al meccanismo di fallimento già disegnato.
Il Presidente della BEI, che investirà in progetti d’innovazione nel 2014 e nel 2015 circa 15.5-16.5 miliardi all’anno, Werner Hoyer, individua tre elementi principali ostanti la competitività europea: insufficienti investimenti, in particolare in settori innovativi ed in attività ad alto valore aggiunto; l’eccessiva disoccupazione, a cominciare da quella giovanile; i pochi investimenti in produttività, ricerca e sviluppo che nell’Unione si fermano all’ 1.9% del PIL, contro il 3.3% del Giappone ed il 2.8 degli USA, per colmare il GAP coi paesi più virtuosi come appunto Giappone, USA e Corea del Sud servirebbero investimenti per 140 miliardi di € all’anno.
Evidentemente investire in modo pesante in innovazione, R&D, produttività, fatto salvo il caso della Germania che nel patto SPD-CDU indica di voler destinare il 3% del PIL, è impossibile per la maggior parte degli stati europei, proprio a causa del rigore dei conti imposto e lo è maggiormente per i paesi in difficoltà che più ne avrebbero bisogno; questa situazione rappresenta una chiara contraddizione tra politica rigorista proposta da ECB e Commissione (e pure IMF) e politica di sviluppo industriale ed economico indicata dalla BEI.
Tornando all’Italia, dall’analisi della Corte dei Conti emerge che la spesa pubblica per il 2014 crescerà di circa 5 miliardi, vale a dire che, se il dato fosse confermato, circa 6 mesi del lavoro di Cottarelli sarebbero vanificati. Per il 2015-2016 la spesa dovrebbe invece diminuire, ma partendo da un dato già più alto.
L’eventuale ammanco di gettito testimonia come le rilevazioni economiche del MEF, che ha comunque smentito tutti i dati, basate su previsioni e su interventi non strutturali bensì soggetti a dinamiche di mercato e consumi (come eccessiva imposizione IVA – Link Laffer-, accise ecc) siano flebili e spesso poco attendibili (non è la prima volta che sussistono errori simili); la crescente spesa invece sottolinea e ricorda la difficoltà, quasi incapacità, di incidere sui costi complessivi della macchina dello Stato italiano e delle PA.
In poche righe la Corte dei Conti, sempre dando per consolidati i risultati dello studio, avrebbe messo nuovamente alla luce due annosi problemi del nostro paese ed avrebbe innalzato in modo drammatico il coefficiente di difficoltà del lavoro del nuovo Esecutivo che per risolvere le questioni economiche dovrebbe fin da subito essere dotato di poteri quasi sovrannaturali.
19/02/2014
Valentino Angeletti
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I dati della celeberrima Spending Review tardano, il finnico Rehn reclama
Le vicende del Governo, delicatissime ed importantissime, stanno monopolizzando l’attenzione, ma si sta maturando una nuova testimonianza di inadeguatezza del nostro paese a cogliere le poche opportunità che questo periodo storico ci riserva.
Qualche dato positivo ultimamente è arrivato: un leggero calo del debito pubblico in termini di valore assoluto nel mese di dicembre 2013; un rialzo del PIL di 0.1% nell’ultimo trimestre del 2013 (anche se nel 2013 il PIL ha registrato -1.9% invece del previsto -1.7%); Moody’s ha mantenuto il rating a BAA2 migliorando l’outlook da negativo a stabile dicendo che questa fase politica non modifica il loro giudizio partorito il 10 febbraio che è dovuto sostanzialmente al migliorare delle condizioni economiche delle economie mature (al momento la finanza non sta guardando le vicende interne italiane, ha ben altro a cui pensare: LINK). Questi dati così come i 500 milioni assicurati dal fondo sovrano del Kuwait al Premier Letta durante il suo viaggio negli Emirati sono ben poca cosa e dopo i drastici cali che vi sono stati negli anni scorsi poco incidono e non contribuiscono ad una decisa inversione di tendenza.
Uno dei problemi del nostro paese è radicato nell’enorme debito pubblico che nel 2014 raggiungerà un rapporto sul PIL tra il 132.5% ed il 133%. L’Europa non perde occasione di ricordarcelo e proprio per questa gigantesca zavorra non ha concesso la possibilità di oltrepassare il rapporto del 3% deficit/PIL come invece ha fatto per Francia e Germania. Altro elemento importante su cui agire è l’assurda spesa pubblica e lo spreco di risorse pubbliche in mille inefficienze e burocrazie. La riduzione e razionalizzazione della spesa rappresenta dunque un altro obiettivo centrale della politica economica italiana.
Per cercare di scalfire i due fardelli sopra menzionati, fallimento di tanti Governi e commissari, è stata istituita una commissione speciale, a dire il vero non la prima, con a capo la persona di Carlo Cottarelli, ex funzionario IMF in forze negli USA. Il fine della spendig review a cui Cottarelli dovrà lavorare, benché senza potere attuativo nei confronti dei suoi report i quali dovranno poi passare dalle forche caudine della politica e del conflitto d’interessi tra provvedimento ed approvatore dello stesso, è quello di destinare risorse per abbattere il debito.
Il tentativo sulla carta è dunque lodevole, anche se la spending review sta diventando un po’ la panacea di tutti i mali ed ogni volta che è necessario reperire risorse di ogni tipo si confida, forse peccando di ottimismo nelle previsioni, nel taglio alla spesa. Di questo tentativo ha preso atto l’Europa che ci avrebbe concesso la possibilità di spendere più denaro per investimenti produttivi (clausola per investimenti), pur rispettando il 3%, a patto di presentare a Bruxelles entro questi giorni un piano di spending review consistente e credibile. Orbene questo piano non è stato ancora presentato e, benché non vi sia possibilità di sforare il 3%, è sempre in ballo la capacità dell’Italia di rispettare piani e scadenze. Olli Rehn sollecita affinché i dati siano inviati, mentre il MEF assicura che sono pronti ed arriveranno in tempo, aggiungendo la critica, peraltro sensata, che senza oltrepassare il 3% la clausola non avrebbe molta utilità.
Il punto è che per risanare una situazione drammatica non è possibile perdere nessuna occasione (ma de resto siamo campioni nel non utilizzare o sprecare in bizzarre circostanze i fondi Europei) e per poter discutere e negoziare da pari in Europa, come sarà necessario fare ed avrebbe già dovuto essere stato fatto, la nostra credibilità e capacità di agire rispettando ciò che è stato promesso, senza esserne stati costretti, deve essere ineccepibile.
Fino ad ora ciò di rado si è verificato e come al solito siamo a sperare che in futuro si cambi davvero verso.
15/02/2014
Valentino Angeletti
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Entrate tributarie: una chiave di lettura per individuare alcune azioni
Ieri sono stati diramati dal MEF (Ministero Economia e Finanza) alcuni dati relativi alle entrate tributarie dei primi 8 mesi del 2013.
Se nel complesso le entrate tributarie risultano stabili rispetto allo stesso periodo del 2012 (267.964 milioni di €, -0.3%) le singole voci hanno subito variazioni non trascurabili.
Il gettito dovuto all’IVA è diminuito del 5.2% (-3’724 milioni di €) sia a causa della diminuzione dei consumi interni (-2.0%) che delle importazioni (-22.1%), è chiaro che con una tendenza dei consumi simile, dovuta all’assenza di liquidità da destinare a consumi della maggior parte della popolazione, l’aumento del primo ottobre al 22% difficilmente porterà ultra gettito (e Laffer va a segno). Anche se i consumi rimanessero al livello attuale senza diminuire ulteriormente, il punto percentuale in più non sarebbe sufficiente a bilanciare il calo dei primi 8 mesi. In diminuzione anche le entrate dovute alle imposte sulla produzione di oli minerali e sul consumo di gas metano e di tabacchi.
Gli aumenti riguardano invece l’imposta di bollo (aumentata recentemente) e tutte quelle imposte relative al capitale, come interessi, rendite e plus valenze ed al ritorno agli utili e quindi alla contribuzione dei grandi contribuenti come banche ed assicurazioni (che però spesso hanno beneficiato di supporti esterni come ADC , bond dedicati ecc).
Complessivamente le imposte dirette aumentano del 2.4% (3’467 milioni di €).
(Per dettagli: AdnKronos)
In ultima summa, sono diminuite tutte le entrate derivanti dai consumi e sono aumentate quelle (come la tassazione sul reddito dei dipendenti pubblici) non comprimibili e quelle su capitali e grandi patrimoni.
Lo scenario si presta alla lettura che l’aumento delle imposte sui consumi, in maniera lineare e non differenziando tra i vari beni ed aliquote, come del resto ha dichiarato di voler fare il Premier Letta e come consiglia Bruxelles, non consente di far confluire all’ erario ultra gettito; l’aumento delle trattenute in busta paga garantisce entrate erariali, ma il livello è ormai insostenibile, ha raggiunto mediamente quasi il 50% e sia sindacati che associazioni di categoria (oltre che i singoli contribuenti) convengono che deve essere pesantemente ridimensionato; l’aumento delle tasse obbligatorie sulla burocrazia, come potrebbe essere l’imposta di bollo, assicura entrate, ma deprime e vessa in modo lineare colpendo le fasce più deboli e portando il 50% della popolazione che sta retrocedendo dalla la middle class a rivedere il proprio budget allocato sui consumi (quindi risulta un circolo vizioso); una quota molto alta delle entrate è invece garantita dai grandi contribuenti e dalle imposte sulle rendite finanziarie, interessi ecc.
Oltre all’indispensabile e pesante spendig review che il Professor, ex IFM, Carlo Cottarelli dovrà impostare ed applicare, per garantire gettito alle casse dello Stato, è bene (sembra un’ ovvietà, ma all’ atto pratico non è così) supportare le piccole e grandi aziende in difficoltà affinché ritornino in utile o lo incrementino cosi da poter contribuire in modo più consistente; rivedere l’imposizione su rendite e proventi finanziari, da portare avanti in maniera congiunta con Bruxelles per evitare fughe di massa dei capitali (l’Italia sui proventi finanziari offre condizioni più vantaggiose che in Francia ad esempio); ed infine, concludendo con una domanda, perché non prendere in considerazione, seguendo tra l’altro i consigli della EU, una patrimoniale progressiva ed equilibrata sui patrimoni mobiliari ed immobiliari oltre una certa soglia (magari un’ una-tantum, per il 50% della ricchezza detenuta dal 10% più facoltoso)? Non pare una idea così tanto estremista ed illogica.
08/10/2013
Valentino Angeletti
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