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Se i Padri Costituenti potessero assistere alla Riforma del Senato….

È servita una seduta parlamentare straordinaria, indetta di sabato mattina, ma alla fine la Riforma del Senato ha superato uno scoglio importante. Dopo la bocciatura, grazie al momento di gloria del parlamentare renziano Cociancich, firmatario dell’emendamento “canguro” che ha concesso di eliminare a piè pari tutti gli altri emendamenti al primo articolo, degli emendamenti all’articolo 1, riguardante le funzioni del nuovo Senato, or sulla via di trasformarsi in camera delle autonomie, è stata la volta, in seduta sabatina appunto, di affrontare il tema del meccanismo di elezione dei membri del Senato, sic stantibus rebus, elettivo da parte del popolo.

Fin dalla prima giornata di votazioni le tensioni all’interno dell’Emiciclo sono state evidente, scontri verbali sicuramente aspri ed accuse allo strumento del canguro, con molti sospetti che a redigerlo non fosse stato il firmatario Cociancich, bensì lo stesso Renzi, o qualcuno per lui, tanto che le opposizioni sono arrivate a chiedere la perizia calligrafica. A sedare gli animi ha provveduto il presidente Grasso che ha ritenuto ogni richiesta inconsistente, considerando che lo stesso Cociancich si è dichiarato firmatario dell’emendamento soppressivo. Nonostante tutto, l’approvazione dell’Articolo 1 è stata semplice, almeno nei numeri, in quanto ottenuta a larga maggioranza, col supporto dei Verdiniani, ma senza che fossero decisivi.

Differente invece, il discorso riguardo al più spinoso articolo 2. In tal caso il passaggio è avvenuto grazie a 160 voti favorevoli, uno in meno della maggioranza assoluta. I voti della minoranza Dem interna, schieratasi col Premier a meno di 5 dissidenti (Mineo il più agguerrito), e dei Verdiniani, si sono rivelati fondamentali.

I Senatori saranno nominati dai partiti, ma tra i rappresentanti dei consigli regionali eletti dal popolo. Questo meccanismo di nomina tra i consiglieri votati, ha fatto capitolare la minoranza PD, che dopo tante parole sì è nuovamente, e prevedibilmente, allineata a Renzi per non creare scompiglio e forse perché consapevole che nonostante la loro dissidenza probabilmente, col supporto di Verdini, la riforma sarebbe comunque andata avanti, così hanno preferito mantenere salda la posizione. Alla luce del nuovo meccanismo è assai improbabile che un elettore, al momento di eleggere i membri del consiglio regionale, possa avere quella contezza del fatto che, magari a due o tre anni di distanza, quel suo voto si potrebbe propagare anche al Senato, nè è detto che se le elezioni fossero state direttamente per il Senato, quindi con influenza su questioni nazionali, l’elettore avrebbe fatto la medesima scelta. A modo di vedere di molti il meccanismo è solo un espediente, in realtà la nuova natura del Senato sarà una camera di nominati.

Verdini, nel frattempo, ha pubblicamente dichiarato, ed è una evidenza, che, senza il loro supporto, Renzi non ha la maggioranza al Senato, rivendicando la sua fondamentale presenza e dando la sensazione di essere sul punto di voler chiedere pegno, il tutto in una singolare esibizione canora a Sky Tg 24, intonando: “la maggioranza sai è come il vento….”. L’alleanza “Renzi – Verdini”, sminuita dall’entourage di Renzi, dietro l’affermazione che la maggioranza per le riforme deve essere la più ampia e trasversale possibile (notare che 160 non è una maggioranza ampia e mostra come certi punti non siano condivisi), fa trasalire la minoranza Dem che ha, in ultimo, sostenuto il Premier, ma che non sopporta la vicinanza a Verdini che pare sempre più parte della maggioranza, in un partito altamente trasversale e dallo stampo ben più vicino ad una (pseudo) vecchia DC che ad un partito di centro sinistra, per giunta nell’orbia dell’Europeo PSE.

Le riforme costituzionali che tanto stanno impegnando la politica, distogliendola spesso dai problemi economici che nel nostro paese continuano a persistere tra la gente comune, e ciò nonostante i dati, sono tutt’altro che un processo costituente minimamente prossimo a quello dei Padri del documento alla base della Repubblica Italiana. I vari Spinelli, Calamandrei, Nenni, Togliatti, De Nicola, proprio perché provenienti da partiti differenti, possono davvero dirsi una entità trasversale con l’obiettivo comune di una carta che mirasse davvero al bene del paese, bene che prescinde dal colore di partito. Sicuramente il processo che sta portando alla modifica della Carta Costituzionale è ben diverso da quella dei Padri Costituenti, e se essi potessero vedere gli scabrosi gesti tra la stupidaggine ed il sessismo, le parole e le mosse che si vedono nelle prestigiose aule dei palazzi romani, non nasconderebbero sdegno e stupore per la leggerezza, disimpegno e poca concentrazione con cui si affronta un passaggio delicatissimo per la nostra epoca politica e civile.

Che le riforme siano ben fatte o meno, non è il punto centrale, il vero fulcro del ragionamento e l’approssimazione con cui si stanno affrontando le importanti riforme costituzionali, procedendo tra insulti, colpi di maggioranza, ed alleanze improbabili. Non sembra stonare la richiesta di Romani, FI, di poter effettuare un voto segreto almeno per un singolo emendamento.

La riforma pare ormai andare in porto, sarà votata nel suo complesso tra il 13 ed il 15 ottobre, e dopo sarà la volta del referendum confermativo.

Dall’Europa ci ricordano però di non spostare l’attenzione dall’economia. In merito al DEF ci viene ricordato che ogni riduzione di introito deve essere coperta in modo STRUTTURALE, da un ben definito e calcolabile oggettivamente (non una semplice stima) taglio di spesa, operazione che ancora, nonostante i commissari, non è iniziata.

04/10/2015
Valentino Angeletti
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