Archivi Mensili: agosto 2014

Dal CdM alle tensioni Russo – Ucraine con possibile risvolto energetico: complessità all’ordine del giorno

Giorno dell’importante consiglio dei ministri su giustizia, sblocca italia, scuola.

La presentazione delle linee guida sulla scuola sono slittate; probabilmente non c’è stato modo di reperire le coperture per le assunzioni previste ed anticipate dal Ministro Giannini. Grande è stata l’indignazione dei professori e dei precari. Il fronte scuola doveva essere un pezzo forte della giornata ed avrebbe dovuto “sorprendere”. Il Premier giustamente punta molto sul settore istruzione, università e ricerca. Ciò è più che giusto perché la ripartenza del paese non può prescindere da un sistema di formazione che miri all’eccellenza, al rilancio dei talenti e del capitale umano, così come gli investimenti e le aziende necessitano di competenze e di un sistema di istruzione che sia più vicino alle loro oggettive esigenze. Al momento lo scollamento è notevole.
Il miglioramento del settore istruzione dovrebbe inoltre garantire più opportunità per tutti, prescindendo dal ceto sociale e basandosi su meritocrazia e competenze in modo da demolire quel meccanismo di politica ed economia relazionale che ha dominato in Italia.
Link capitale umano
Il capitale sociale punto di ripartenza che necessita dell’impegno di istituzioni pubbliche, aziende private e singoli individui 30/03/14
Convegno “Il capitale sociale: la forza del Paese”. Tre personali punti per far si che l’istruzione valga davvero 28/03/14
CERVELLI IN FUGA, DEPAUPERAMENTO PER L’ITALIA ED IL SUO TESSUTO PRODUTTIVO 04/05/13

Al centro del CdM rimarranno dunque lo sblocca italia che deve assolutamente essere riempito di quei contenuti necessari a far ripartire gli investimenti. Risorse quindi destinate alla ripartenza di opere ferme, alla prosecuzione o inizio di opere immediatamente cantierabili, alla ristrutturazione dell’edilizia scolastica, ma anche al settore energetico per abbattere il costo dell’elettricità. Tolti questi ed altri paletti, come fisco, burocrazia, legalità – giustizia, aleatorietà del sistema regolatorio e normativo, investitori seriamente interessati a far fruttare i loro capitali nell’industria italiana si troveranno in modo automatica e saranno sia nostrani che internazionali.
Ovviamente per far ciò ci vuole la volontà politica ed è bene che si trovi alla svelta.
Giusto per citare due esempi, qualche anno fa la British Gas ha abbandonato il progetto di costruzione di un rigassificatore nel brindisino proprio per la burocrazia e l’incertezza normativa, dopo aver già speso e perso 250 milioni di €. Analogamente i giorni scorsi una ditta di bio-componentistica e protesi statunitense ha deciso di abbandonare il piano di investimento in italia sempre per le medesime ragioni legate a giustizia, burocrazia e norme sibilline talvolta incomprensibili che non lasciano spazio alle certezze necessarie per investire.

La Giustizia è il terzo tema presente al CdM, probabilmente in questa prima fase verrà coinvolta solo quella civile, lasciando il penale ad una seconda fase. Media maliziosi dicono che sia per non disturbare troppo l’alleanza con Forza Italia e con NCD.

Nei giorni scorsi dal Ministero dell’Economia si è assistito ad una accelerata molto potente sulla privatizzazione di Eni ed Enel. Le critiche come al solito quando si parla di queste tematiche sono molte. C’è chi parla di svendita, chi di cessione di asset strategici, chi ritiene che la fase di mercato non sia corretta e via dicendo. La cessione dovrebbe interessare il 5% di Enel e poco più del 4% di Eni per fruttare complessivamente circa 5 miliardi. Le aziende sono ovviamente strategiche ed è bene che si abbia modo di valutare ed appoggiare piani industriali che puntino a rilanciare la competitività del paese e delle aziende stesse, evitando di dare carta bianca a chicchessia senza un controllo e senza voce in capitolo.
Non c’è spazio però per l’avversione a priori, ad esempio il modello public company (appoggiato da Morando) che garantirebbe comunque il controllo statale è molto apprezzato altrove e vi sono esempi di ottimi risultati.
Non esistono altresì fasi di mercato favorevoli o sfavorevoli per azioni simili, il mercato può sempre crescere e sempre calare (fino allo zero), ma esistono fasi favorevoli o sfavorevoli se incrociate con le condizioni al contorno e le necessità impellenti.
In questo momento il vero punto su cui farsi qualche domanda è che queste privatizzazioni sono state anticipate di circa un anno da quelli che erano i programmi originari perché i dati economici si sono rivelati peggiori, perché le risorse sono sempre meno, perché la spending review (che avrebbe dovuto ridurre il debito) va a rilento ed anche gli interventi sulle partecipate pubbliche risultano complessi (anche solo il loro conteggio), perché ancora siamo lontani dalla flessibilità europea ed alla politica monetaria che potrebbero essere utili ed auspicabili, perché la privatizzazione di Fincantieri ha portato ad un gettito inferiore al previsto (450 mln € VS 600 mln € stimanti) e perché, alla luce dei conti e dei bilanci, i nuovi amministratori di Poste e Finmeccanica hanno ritenuto che non sia percorribile la quotazione immediata (stesso discorso vale per Enav). Queste son le domande da farsi per inquadrare una situazione davvero complicata.

Puntando il focus sull’Ucraina e la Russia continua l’escalation delle tensioni. La Nato, ed il Ministero degli Esteri svedese confermerebbe, avrebbe prove di interventi di uomini e mezzi dell’esercito regolare Russo in Ucraina, cosa sempre smentita da Puntin. Ciò ha portato il Premier Renzi, presidente di turno dell’Unione europea, a telefonare a Putin per esprimere le rimostranze europee di fonte ad un simile gesto. Il Presidente Obama, condannando l’azione, ha avanzato la più che realistica ipotesi di inasprire ulteriormente le sanzioni, le quali indubbiamente hanno già un pesante risvolto sulla già debole economia europea che a questo punto dovrà considerare di richiedere un maggior supporto agli USA stessi anche e soprattutto in tema energetico, cosa non semplice per via delle infrastrutture necessarie, e commerciale (TTIP?).
Quando si parla di Russia ed Ucraina l’energia non può non essere un tema centrale. Da tenere a mente anche i problemi gravi in medio oriente ed in Libia con possibili conseguenze sui prezzi delle materie prime.
L’ex AD Eni, Paolo Scaroni, nel tranquillizzare di fronte elle prime tensione russo-ucraine nei mesi scorsi, asseriva che per approvvigionamento energetico l’Italia è in grado di sopportare un evento critico singolo (N) in un paese fornitore (Russia ad esempio), ma non due eventi simultanei (N+1) presso nostri fornitori principali, quindi ad esempio in Russia e Libia.
La politica del nuovo corso Eni è basata proprio al riequilibrio ed alla diversificazione degli approvvigionamenti, ad esempio dall’Africa dove sta portando avanti importanti investimenti e dove ha trovato ulteriori idrocarburi, ma ancora la dipendenza russo – libica del nostro paese è preponderante e la ritorsione energetica russa a valle di nuove sanzioni assolutamente possibile. Vero è che le scorse stagioni relativamente miti hanno consentito buoni stoccaggi, ma è anche vero che le previsioni (con tutta la aleatorietà del caso) invernali parlano di un freddo anomalo da ottobre a gennaio con possibili -15°, -18° e nevicati su tutta la penisola incluse Napoli e Roma.

IN aggiunta l’Istat (www.istat.it) continua a diramare dati su inflazione ed occupazione tutt’altro che incoraggianti.

In sostanza la complessità degli scenari è all’ordine del giorno….

28/08/2014
Valentino Angeletti
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Draghi: parole “infraintendibili” per tutti, non per Schauble

draghi-schaeuble-227731_tn Secondo il Ministro dell’economia tedesco Wolfgang Schauble, il discorso di Draghi al meeting di Jackson Hole sarebbe  stato male interpretato. Per il Ministro non sarebbe stato nelle intenzioni del Governatore della BCE avanzare  l’ipotesi di  allentamenti monetari stile FED, precludendo quindi ogni tipo di strumento non convenzionale, QE,  acquisto di titoli di  stato o cartolarizzazioni bancarie.
Schauble sostiene, quasi volendosi arrogare il diritto di parlare per bocca di Draghi stesso, che non vi sarà assolutamente  un abbandono del rigore e del rispetto dei vincoli di bilancio e che risulta fondamentale il percorso riformatore che dovrà coinvolgere gli stati membri (includendo quasi in un impulso di ritrovata umiltà anche la stessa Germania) e l’Europa.

A ben vedere il discorso proferito da Draghi a Jackson Hole (LINK) lascia ben pochi margini di interpretazione. L’importanza delle riforme, ricalcando quanto già detto in interventi precedenti, ossia di conferire all’Unione una maggior influenza ed una maggior sovranità nei processi di riforme economico-istituzionale delle nazioni, è confermata, in particolare per quel che concerne la spinta verso un incremento di investimenti pubblici e privati e verso la lotta alla disoccupazione.
Su questo primo macro-punto il Governatore ed il Ministro tedesco sono facilmente confrontabili.

Differente invece è il discorso che riguarda prettamente la finanza e la politica monetaria. Come sempre Draghi non ha voluto calcare la mano oltremodo su flessibilità dei trattati né ha esplicitamente appoggiato un eventuale alleggerimento del rigore, ma ha sottolineato prepotentemente la necessità che in Europa ed in tutti gli stati (Italia in primis) sia il privato che il pubblico tornino ad investire.

Questo processo necessita indubbiamente delle riforme che, nel caso italiano sono parzialmente rappresentate dai testi che verranno presentati nel CdM del 29, quindi: scuola/istruzione in modo che vi sia più vicinanza al mondo del lavoro, e sia un sistema più efficiente, efficace, meritocratico e di qualità; sbocca-italia per allocare risorse ad investimenti produttivi confidando anche in fondi europei visto che i margini sono decisamente stretti; giustizia cosicché gli investitori stranieri e nostrani possano confidare in un meccanismo di legalità funzionante, snello, rapido e che giunga rapidamente a sentenza (stessa cosa dovrebbe valere anche per l’aspetto normativo e regolatorio, nel nostro paese troppo ballerino per offrire le certezze richieste nel mondo degli investimenti e degli affari).
Innegabile però che Draghi abbia anche fatto esplicito riferimento a strumenti finanziari non convenzionali per assolvere la missione della BCE di riportare l’inflazione a ridosso del 2% e garantire la stabilità dei prezzi, obiettivi fino ad ora mancati probabilmente proprio a causa di tempi di reazioni lenti dell’istituto di Francoforte e per l’intermediazione bancaria che ha rappresentato un meccanismo inceppato dell’ingranaggio banca centrale – economia reale/imprese.
Del resto, e forse Schauble non lo ricorda, a settembre partiranno i meccanismi di ABS, TLTRO ed eventualmente i QE su titoli di stato e cartolarizzazioni.

Innegabile che poi gli investimenti in una fase di crisi come quella in atto siano legato saldamente alle possibilità di spesa, basse sia per gli stati in crisi che per molte delle aziende europee che devono far fronte a mercati stagnanti e ad un Euro, benché in calo, ancora troppo forte per puntare tutto sull’export. A ciò si aggiungono le sanzioni commerciali alla Russia (estese in queste ore oltre che all’alimentare anche al lusso) e le crisi medio orientali che potrebbero influire sui prezzi delle materie prime come gas e petrolio.
In fasi simili gli investimenti possono essere fatti sul lato pubblico solo rivedendo i patti a livello europeo (oltre che agendo sui tagli alla spesa che però in un paese come l’Italia stando ai piani dichiarati dovrebbero andare a riduzione del debito ed alla detassazione), mentre sul lato privato fornendo liquidità, quindi credito, a basso costo, cosa che potrebbe fare in modo relativamente rapido proprio la BCE con una politica monetaria più accomodante (in attesa degli effetti delle riforme che non devono rallentare), magari assieme ad azioni volte a deprezzare la moneta unica supportando l’export, anche alla luce dell’indebolimento del mercato russo come destinazione a causa delle sanzioni.

Un paese come l’Italia, che rimane molto interessante per gli investitori i quali sono scoraggiati ad investire proprio per la burocrazia, le tasse, la legalità, l’incertezza normativa, il costo del lavoro, ecc, si gioverebbe enormemente di una prima fase di sbocco di investimenti tramite QE e revisione dei patti UE, in attesa che la burocrazia venga alleggerita, le norme e la giustizia vengano rese più snelle e certe, il fisco e la rigidità del lavoro riviste. Raggiunti quei traguardi importantissimi non sarebbe necessario più alcun supporto esterno perché il meccanismo degli investimenti riprenderebbe in automatico ad opera di investitori nazioni ed esteri sia del campo pubblico che privato.

Per ora i mercati non hanno dato troppo peso alle parole di Schauble, ritenendo probabile il verificarsi di operazioni straordinarie da parte della BCE e assieme alla prosecuzione del tapering della FED (il PIL USA Q2 ha battuto le attese registrando +4.2% rispetto al 3.8%). Questa possibile ulteriore liquidità renderebbe il mercato UE forse anche più interessante di quello USA. Secondo Nomura ci sono il 30% delle probabilità che la BCE adotti misure non convenzionali entro l’anno.

Verrebbe da chiedere alle imprese ed ai consumatori tedeschi, ricordando loro i valori del PIL e dell’indice di fiducia IFO se siano totalmente d’accordo con le parole del loro Ministro (sempre più ostinatamente falco). Credo che qualche oppositore non lesinerebbe critiche alle dichiarazioni di un Ministro che a volte sembra cieco di fronte all’avvitarsi della situazione economica.

Link:

La BCE si mostra attendista anche in emergenza ed offre, pungente, una ricetta ben nota 08/08/14
La crisi di governo francese ha rotto il fronte anti austerità? Problemi in vista? 26/08/14
Eccola la deflazione… brevemente, c’è poco da dire, solo le due solite domande 13/08/14
L’Italia e le riforme: la lesson learnt spagnola ed il filo guida europeo che ci ricordano (Moody’s) di non perdere 11/08/14

27/08/2014

Valentino Angeletti
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La crisi di governo francese ha rotto il fronte anti austerità? Problemi in vista?

La Francia si trova di fronte ad un terremoto politico non indifferente proprio a pochi giorni dal consiglio straordinario sulle nomine dei commissari europei della nuova commissione Juncker. La coalizione di governo messa in pedi dal Presidente socialista Hollande e composta dal Premier liberale Manuel Valls e dal Ministro dell’Economia Arnaud Montebourgn decisamente più orientato a sinistra, non ha retto alla politica a dir loro eccessivamente rigorista ed accondiscendente all’asse Berlino-Bruxelles che fino ad ora ha dominato l’approccio economico europeo impostato sul rigore dei conti e sulla disciplina di bilancio.
Il Premier Valls dopo le nuove e pesanti accuse alla politica di rigore economico portate da Motebourgn al Governo francese ha dunque rassegnato le dimissioni dell’intero esecutivo. Hollande si è trovato di fronte ad una pesante vacanza in un momento delicatissimo per la Francia, con le nomine europee alle porte, con la politica estera in preda alle tensione russe e medio-orientali, con un partito socialista ridotto alla sfascio e con gli anti-europeismi che imperversano e che hanno portato alle ultime elezioni europee il Fronte Nazionale di marine Le Pen ad essere il primo partito. La Le Pen ha subitamente colto l’occasione per rilanciare lo scioglimento dell’assemblea nazionale e l’eventualità di nuove elezioni. Questa debolezza ed incertezza del Governo non fa bene alla Francia sia perché a livello economico anche oltralpe, pur con una politica industriale decisamente migliore dal punto di vista di impostazione strategica rispetto all’Italia, si sentono pesanti gli effetti della crisi e dell’austerità sia perché da adito ad un ulteriore rafforzamento del sentimento anti europeo il quale in fasi delicate sui terreni libici, iracheni, siriani e russo-ucraini, può sfociare in pesante intolleranza e xenofobia. Un sondaggio nazionale del resto certifica che per circa il 74% degli intervistati la religione islamica è intollerante e incompatibile con la moderna società francese.
Questo sconvolgimento politico in Francia arriva immediatamente dopo le dichiarazioni dell’Ex ministro dell’Economia che accusavano le politiche di rigore ed Hollande, colpevole di averle assecondate e di star continuando a farlo, per l’avvitarsi di questa crisi. Al contempo Montebourgn lanciava l’assist a Renzi per un eventuale alleanza in nome di maggior flessibilità, asserendo che il piano di riforme del Premier italiano rappresenta la corretta modalità operativa per gestire la crisi e che tutti gli stati dovrebbero seguire il suo esempio.
Queste dichiarazioni anti Bruxelles non devono essere piaciute a Valls, al quale Hollande ha dato incarico di formare il nuovo Governo (in cui però non sarà presente né Montbourg né Filippetti che probabilmente daranno vita ad una nuova fronda di sinistra). La mossa potrebbe essere letta proprio in chiave europea, infatti le quotazioni per il posto di commissario agli affari economici e monetari europeo (che fu di Rehn il finnico) del francese socialista Moscovici sono molto alte ed un’escalation dei rapporti tra Francia e Commissione avrebbe potuto compromettere questa opzione. Il posto economico in Europa è uno dei più prestigiosi, lo sarà sempre di più se l’obiettivo è giungere ad una unione più coesa e centralizzata rispecchiando quanto suggerito da Draghi agli stati membri di cedere in tema di riforme economiche parte della sovranità proprio all’Europa.
La linea più volta alla flessibilità presente nel governo francese sembra così smorzata e Valls nella creazione del nuovo esecutivo probabilmente cercherà l’appoggio del centro, essendo la sinistra in procinto di creare una nuova fronda di circa cento membri e la destra principalmente nelle file del Fronte Nazionale della Le Pen.

Nel frattempo il Cancelliere Merkel ed il Premier spagnolo Rajoy percorrevano il cammino di Santiago (in realtà pare solo 5 dei 150 Km) e si intrattenevano per 4 ore a cena. Tra i due capi di governo è emersa una grande sintonia sulle politiche del rigore di bilancio e sull’austerità. La Spagna del resto ha incassato molti endorsement e plausi per il cammino di riforme (allegoria di quello di Compostela?) intrapreso, benché il livello del debito sia raddoppiato dal 2008 ad oggi; il benessere sociale sia decisamente più basso rispetto a prima (lo testimoniano gli scontri e le manifestazioni di protesta per l’incontro tra i due leader di vari fronti anti austerità); i livelli di disoccupazione complessivi rasentino il 28%. Indubbiamente le riforme sono fondamentali ed in tal senso va dato atto all’azione di Madrid, ma a rafforzare questa vicinanza “pro rigore” che non fa di certo il gioco spagnolo probabilmente stanno concorrendo i 37-40 miliardi che la Spagna nel 2012 ha richiesto ed ottenuto dal fondo speciale UE per il salvataggio delle sue banche, operazione gestita dal Ministro dell’Economia De Guindos con il supporto fondamentale dell’omologo tedesco Wolfgang Schauble. Proprio De Guindos risulta essere il più probabile sostituto, alla scadenza del mandato a metà 2015, dell’olandese Jeroen Dijsselbloem alla presidenza dell’Eurogruppo, sostegno dato anche dalla stessa Germania. In tal senso quindi Madrid ha tutto l’interesse a mantenere ottimi rapporti con Berlino che la erige spesso a baluardo del processo di risanamento dei conti e del significato di implementazione delle riforme (come aveva provato a fare in Francia Montbourg con Renzi).

Quella che poteva (ed avrebbe dovuto) essere un’asse pro flessibilità capeggiata da Italia-Francia e che avrebbe potuto coinvolgere anche la stessa Spagna (oltre che Grecia e Portogallo) sembra in questo frangente essersi sgretolata, così come sembra ancora lontana la virata europea verso un rapido cambiamento di gestione economica della crisi. Al momento ogni nuovo approccio pare posto sull’altare del conservatorismo, probabilmente finalizzato all’ottenimento di qualche posizione di Commissario, con una conseguente corsa ad entrare nelle grazie più che di Bruxelles di Berlino.
A pagare ovviamente saranno l’Europa e tutti gli stati membri, perché ciò vuol dire altro tempo nel quale non si definisce chiaramente se l’Europa vuole continuare con l’impulso recessivo e deflattivo dato da eccessive politiche rigoriste in fasi di pesante crisi oppure se vuole aprirsi e discutere un nuovo modello che, pur non abbandonando il controllo dei bilanci anzi in un certo senso aumentandolo, sia principalmente rivolto alla crescita, agli investimenti economico-industriali ed alla creazione di benessere diffuso, dimostrandosi così (tardivamente) resiliente ai cambiamenti in atto. Il motto che si sentirà proferire continuerà ad essere quello della flessibilità nel rispetto dei patti e dei trattati che se non rappresenta un ossimoro poco ci manca.

Al momento i mercati sembrano essere stati immuni al ribaltone francese ed aver gradito le parole di Draghi, sempre pronto alle misure straordinarie, che ha spinto sulle riforme dei singoli stati e su una rinnovata centralità europea. A riportare un po’ di capitale finanziario (differente a quello industriale) in Europa hanno contribuito anche le parole della Yellen che ha confermato il tapering (i QE mensili sono già passati da 85 a 25 mld $/m) con lo stop definitivo degli acquisti ad ottobre (a patto che non vi siano elementi palesemente ostanti). Probabilmente quindi l’aspettativa di breve-medio periodo è una calo della liquidità in USA ed un aumento in Europa. Ciò ha comportato lo sprint di tutte le borse ed il ribasso di tutti gli spread, ma la situazione dell’economia reale è più incerta. A dimostrarlo è l’indice di fiducia delle imprese tedesche (IFO), mai basso come nell’ultima rilevazione, a testimonianza che, anche se il Governo di Berlino non pare recepire in modo ufficiale (per farlo probabilmente attenderà alcuni allarmi dai dati sull’occupazione che seguono fisiologicamente un peggioramento economico), il substrato produttivo è incerto. Questo sentiment è dovuto alle esportazione extra-UE penalizzate da una moneta decisamente troppo forte (benché sia in calo il rapporto €/$ il divario rimane ancora di un 30%); ai ritardi sul TTIP; alle crisi orientali, Russe, Ucraine ed alle relative sanzioni, e alla difficoltà, visto il basso livello di consumi sopraggiunto a causa della riduzione del potere d’acquisto, di mantenere alte le esportazioni verso i principali mercati dell’euro-zona (come in italia, Spagna, Francia, Grecia, Portogallo). Il campanello d’allarme sta già squillando e non va sottovalutato. Come si sa da tempo vanno sbloccati investimenti e creata occupazione e reddito, agendo sia sul fronte dell’offerta con sostegno alle imprese (credito, sburocratizzazione, flessibilità del lavoro, defiscalizzazione) sia su quello della domanda (maggior reddito disponibile), lavorando a livello europeo, nazionale e di banca centrale europea.

Lato italiano, oltre che cercare di porre sempre in cima all’agenda europea che come presidenti di turno dovremmo dettare temi quali flessibilità, crescita investimenti, golden rule, lavoro, occupazione, ma che, vuoi le nomine dei commissari, vuoi le priorità interne, vuoi le tensioni ucraine e medio orientali, vuoi Marenostrum-Frontex e le migrazioni, vuoi le crisi di governo altrui, non riusciamo ancora ad impostare in modo efficace, vi è la necessità di proseguire con il cammino delle riforme anche per fare in modo di ottenere pure noi qualche Commissario o Alto Rappresentante. Le quotazioni del Ministro Mogherini sembrano in crescita (anche dopo la dichiarazione del Min. degli Esteri Russo Lavrov che avrebbe confermato una non vicinanza con il Ministro degli Esteri Italiano; i due si sarebbero incontrati solo una volta) anche se è opinabile una così forte volontà di ricoprire una posizione fino ad ora di rilevanza limitata, soprattutto per quel che concerne gli aspetti economici ai quali l’Italia dovrebbe essere particolarmente interessata.
Il 29 agosto, immediatamente prima del consiglio UE del 30, vi è un importante CdM con al centro scuola, giustizia e sblocca italia, tre punti cardine per impostare una crescita sostenibile. In particolare sblocca italia dovrà essere riempito di provvedimenti realmente incisivi (il caso Alcoa riporta l’attenzione sulla questione dell’energia per le PMI che deve essere ulteriormente ridotto agendo su oneri di sistema, sistema di incentivazione, adeguamento del MIX produttivo e tecnologico, supporto con fondi europei alla dismissione/riconversione dei vecchi impianti che rappresentano solo un costo pagato in bolletta, con creazione di indotto nel breve-medio periodo). Ogni provvedimento ed ogni investimento, stando a quanto si legge, è pesantemente vincolato da margini ristrettissimi, non vi sarebbero (e sempre secondo i media lo stesso Padoan confermerebbe) risorse aggiuntive né tesoretti ed i risultati dell’ambiziosa spending review sono ancora da venire e da destinarsi alla riduzione del debito e delle tasse e non alla copertura di spese. Tale è la condizione cronica in cui versa l’Italia da almeno 5 anni e che senza operazioni titaniche e probabilmente impopolari oppure senza la flessibilità che si richiede all’Europa difficilmente potrà essere curata. Potranno essere trovate copertura col “bilancino” per determinati provvedimenti, ma diversi sono gli ordini di grandezza di budget in grado di sbloccare l’economia, l’industria, la produttività, l’innovazione e la fiducia del paese.
Con i risultati preliminari del CdM il Premier Renzi può andare al Consiglio del 30 provando a portare una prova della serietà dell’azione riformatrice di governo, che non sarà comunque accettata ad occhi chiusi dall’Europa consuetamente meticolosa nell’analisi dei dettagli. In ogni caso è troppo tardi per pensare che la flessibilità sugli investimenti produttivi, in innovazione, tecnologie, infrastrutture ecc possa attendere le prime evidenze delle riforme per essere concessa. La via che l’Europa adesso dovrebbe adottare è dare credito e controllare costantemente l’attuazione ed i benefici delle riforme e delle spese in investimento. Per il Premier italiano quindi sarà ancora più importante la fase di successiva implementazione, cercando di fare in modo che si giunga rapidamente all’attuazione e che non vengano semplicemente rimpinguate le pile dei decreti attuativi ancora da sbrigare.

Link:
Da Jackson Hole: politica monetaria, ma soprattutto lavoro, riforme e resilienza 23/08/14
Padoan: crescita molto lontana da quanto previsto. Indiscrezioni di un non facile tavolo segreto per vincoli europei più flessibili. Che questa volta sia quella buona. 17/08/14
Economia europea congelata, analisi, possibili soluzioni e rischi a valle dei dati di PIL Q2 15/08/14
Eccola la deflazione… brevemente, c’è poco da dire, solo le due solite domande 13/08/14
L’Italia e le riforme: la lesson learnt spagnola ed il filo guida europeo che ci ricordano (Moody’s) di non perdere 11/08/14
La BCE si mostra attendista anche in emergenza ed offre, pungente, una ricetta ben nota 08/08/14
Non il Pil prevedibilmente basso, ma delle aspettative troppo alte. Cosa ci attende e cosa si deve fare in concreto? 06/08/14

 

25/08/2014
Valentino Angeletti
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Da Jackson Hole: politica monetaria, ma soprattutto lavoro, riforme e resilienza

Jackson Hole In Wyoming, a Jackson Hole, si è tenuto il prestigioso meeting tra i banchieri  centrali culminato con gli attesi interventi della Governatrice della FED Janet Yellen  e del Governatore della BCE Mario Draghi.

Il consesso rigorosamente ad inviti, è uno di quelli di altissimo livello dove si  delineano le politiche e le strategie, si fanno propositi e talvolta proclami, salvo poi  rilevare che spesso o risultano già ampiamente anticipati dagli eventi oppure di  difficile implementazione a causa di una catena di trasmissione, che dovrebbe  renderli operativi, nella realtà dei fatti spesso più complicata e meno funzionale del  previsto.

I due interventi principe oltre a trattare i temi tipici di competenza delle banche  centrali quindi le politiche monetarie, come ampiamente anticipato hanno avuto il loro fulcro nel mercato del lavoro e nella disoccupazione, problematiche che vedono impegnati sia gli USA che la UE, la cui presidenza italiana ha posto al centro del proprio semestre proprio l’occupazione, essendo un fattore indispensabile, ma ancora fragile in gran parte dell’Europa, per l’innesco di uno spiraglio di ripresa. A testimonianza dell’interesse al lavoro rispetto a quanto accaduto in passato, a questa edizione sono stati invitati meno banchieri d’affari e più esponenti, accademici e studiosi proprio delle dinamiche dell’occupazione e del lavoro. 

Il discorso del Governatore Draghi è stato abbastanza blando, senza grossi colpi di scena, del resto la BCE non giocava nello stadio di casa, Draghi quindi probabilmente si è limitato a sottolineare quanto l’Istituto da lui diretto ritiene necessario fare in questa fase, lasciando eventuali annunci “shock” per interventi presso la sede tedesca di Francoforte.

I punti centrali in tema di politica monetaria della sua esposizione si possono riassumere nell’impegno costante a riportare i livelli di inflazione a ridosso del 2% e nell’utilizzo di ogni tipo di strumento, anche non convenzionale, per dare all’economia reale quello spunto di cui da tempo ha bisogno (e che ha visto la BCE ritardataria) utilizzando ogni misura, a cominciare da quanto già in programma a partire dal 18 settembre, cioè ABS, TLTRO ed eventualmente acquisto di cartolarizzazioni e titoli di stato, cercando di ridurre al minimo il potenziale effetto di smorzamento avuto in passato a causa dell’intermediario bancario.

A ciò però si aggiungono alcune critiche, che esulano dai compiti specifici della BCE. Draghi infatti ha ribadito come la BCE non può sostituirsi in alcun modo agli Stati i quali devono realizzare e rendere effettivi i pacchetti di riforme che già conoscono bene, in particolare quella sul mercato del lavoro non risulta più prorogabile. La politica monetaria è inutile se non vi sono misure strutturali che supportano l’economia. Gli Stati devono lavorare in tal senso in modo da essere più attrattivi ed attirare capitali industriali e finanziari. Ribadisce infatti, come fece Visco qualche settimana fa in occasione del convegno dell’ABI, la necessità di più investimenti sia privati che pubblici, ed in tal senso l’Italia deve sentirsi direttamente chiamata in causa avendo perso rispetto al passato molta attrattività nei confronti degli investimenti industriali proprio a  causa, oltre che della crisi, di meccanismi legislativi, della giustizia, del fisco, della burocrazia e del lavoro, spesso borbonici e che scoraggiano ogni tipo di investimento in attività produttive.

Quello che dice Draghi risulta verissimo (in particolare sulle riforme) e porta implicitamente a fare alcuni ragionamenti.

Il primo riguarda il pacchetto di investimenti pubblici che reclama. Essi in questa fase sono fuori portata per ogni Stato in difficoltà con i conti (Debito, rapporto deficit/PIL ecc). Tali Stati sono proprio quelli a necessitare di più profondi e repentini investimenti. In parte il pacchetto da 400 miliardi annunciato da Jucker potrà assolvere questa funzione, ma di certo non sarà sufficiente. Serve che anche i singoli Stati si impegnino (in Italia risulterà fondamentale il piano Sbocca Italia al varo nel CdM del 29 agosto) e per impegnarsi in investimenti, in ricerca, in sviluppo e innovazione, in aggiornamenti tecnologici e nella creazione di valore aggiunto nel medio-lungo periodo, devono avere disponibilità di budget da far fruttare. Ecco allora che la revisione dei patti europei risulta nuovamente una possibile chiave di volta da considerare seriamente perché utilizzando la flessibilità ad oggi concessa, alla luce dei pessimi dati di PIL di gran parte dell’area Euro, non sembra possibile avere sufficienti margini di intervento. Ovviamente i conti non dovranno essere sballati, ma dovranno consentire qualche scostamento temporaneo per iniziare efficacemente la sortita dalla crisi.

Draghi parla molto bene anche in merito al fatto che la politica monetaria non può risolvere tutto e che risulta inefficace se non vi sono piani di medio-lungo periodo che devono essere in capo ai singoli Stati, ed in questo perimetro rientra il pacchetto di riforme economiche da farsi più che rapidamente (i soldi si possono elargire, ma i beneficiari devono saperli investire e far fruttare…). È altrettanto vero però che la politica monetaria deve rappresentare la fase “uno” che sbocchi violentemente i meccanismi di crescita economica bloccati dalla crisi e che Stati in difficoltà, soprattutto se stretti nel rigore dell’austerità, non riescono a sbrogliare. L’impulso monetario che è mancato venendo in gran parte neutralizzato dagli istituti di credito, avrebbe dovuto fornire la liquidità necessaria ad una fase “due” di sostegno all’economia reale, alle imprese, al credito ed in parte agli investimenti strutturali di medio-lungo periodo i cui risultati avrebbero dovuto portare lavoro, reddito, domanda (incluso export), produzione industriale ad un livello più stabile; il tutto andando in parallelo con il processo di riforme comunque necessario a rendere duraturi e solidi, con i fisiologici tempi di ritardo,  i risultati.

Anche un’azione volta a svalutare leggermente la moneta per favorire l’export avrebbe potuto essere utile, ma in tal senso la Germania dagli alti livelli di export, benché gli ultimi dati abbiano visto rallentare anche le esportazioni tedesche, sarebbe stato lo Stato a trarne maggiori vantaggi ed inoltre avrebbe dovuto essere calcolato il rischio di “guerra monetaria” (terreno sempre scivoloso ed imprevedibile anche per i più esperti) con gli UK, USA, Cina e Sud America.

Il discorso della Yellen ha principalmente riguardato il perimetro statunitense.

Il tapering continuerà, gli acquisti di titoli di stato si sono già ridotti da 85 a 25 miliardi di $ al mese e verranno stoppati ad ottobre in quanto ormai prossimo il target sulla disoccupazione del 6.5%. La Governatrice ha anche assicurato che i tassi rimarranno per il momento bassi, ma che verranno rialzati qualora non vi siano segnali economici avversi (in tal senso potrebbe giovarne l’Euro perdendo un po’ di forza nei confronti del Dollaro e favorendo quindi le esportazioni dal vecchio continente, processo che pare già essere lentamente in atto).

La Governatrice della FED ha però aggiunto alcune note molto interessanti.

La prima, e sembra un sottile riferimento all’azione in certe circostanze conservativa e lenta della BCE, è relativa al notevole ruolo che ha avuto la politica monetaria accomodante dell’istituto di Washington nel traghettare gli USA fuori da una recessione lunga un lustro, riportando l’economia a stelle e strisce ad essere ben impostata.

In tal percorso, ed il la seconda nota da analizzare, è stato partorito un nuovo concetto di lavoro ed occupazione. Si è a tutti gli effetti in presenza di  escalation di questo tema. Se prima infatti gli unici dati tenuti in considerazione erano la disoccupazione ed il numero di nuovi occupati, adesso si è preso atto che questi non sono più sufficienti. Si devono invece analizzare i meccanismi del lavoro in modo più profondo, come il numero di disoccupati di lungo termine; le tipologie di occupazione, se stabili o eccessivamente precarie, il che non vuol dire che il posto deve essere fisso a vita, ma che il mercato del lavoro deve essere flessibile ed offrire sempre nuove opportunità; il livello del salario, ancora troppo basso e che non consente una ripresa stabile dei consumi interni e della fiducia. Lo scenario USA è quindi in miglioramento, ben impostato, ma ancora lungi dall’essere strutturalmente stabile e solido.

In Europa, e come a volte capita l’Italia ne rappresenta l’estremo peggiore, si è ancora radicati al vecchio concetto ed ai vecchi dati e pare che si sia realizzata una politica diametralmente opposta. L’azione sembra rivolta a dare flessibilità al lavoro, ma nel senso “precarizzante” che non offre alcuna certezza né salari decenti al lavoratore che troppo spesso può contare solo su attività di breve termine ed assenza di prospettive nel medio-lungo periodo. Gli stessi salari sono stati sovente rivisti al ribasso ed il potere d’acquisto quasi azzerato. Questi due elementi da soli sono sufficienti ad innescare la spirale deflattiva che ha contribuito a portare livelli di inflazione continentali circa allo 0.4% con molti Paesi già in deflazione (sul tema del lavoro grande importanza avranno i piani e gli impegni di questo Governo, posto di fronte a partite tutt’altro che semplici anche per la frammentazione parlamentare che si potrebbe avere su un simile argomento).

Negli USA siamo dinnanzi ad un a presa di coscienza importante, ossia il bisogno di fare un “upgrade”  nelle politiche e nei dati utilizzati per analizzare e risolvere le crisi. Adesso pare che si vogliano considerare anche le condizioni al contorno piuttosto che, come accade per i parametri cardine della politica dell’austerità, il semplice e singolo dato (alla lunga si potrebbe convergere dal PIL ad un indice di benessere complessivo come molte teorie già indicano e come il Bhutan ha già adottato). L’obiettivo dovrebbe essere quello (come detto anche qui, vedi link a fondo pagina) di puntare ad un riassetto che sia strutturale, porti benessere reale e tangibile e sia resiliente alle rapide mutazioni economico sociali, in modo da presentarsi più capace nell’affrontare e scongiurare la ciclicità delle crisi che un’economia eccessivamente basata sulla finanza sembra causare.

L’Europa dovrà anch’essa perdere atto di questi mutamenti muovendosi verso un adeguato livello di proattività e resilienza, perché al momento pare ancora troppo radicata ad un approccio obsoleto, vulnerabile, fragile e totalmente in balia delle variabili macro sempre più rapide e meno prevedibili. 

Questo percorso dovrà convergere verso situazioni di stabilità strutturale capaci di evitare le crisi o ridurne la frequenza, nel caso prevederle quanto prima ed in ultimo mutare la propria azione e la propria struttura così da rispondervi nel modo più pronto, efficace e meno traumatico possibile.

Inutile ribadire che questo processo necessita di lungimiranza nello studio e nell’implementazione dei piani di crescita, sviluppo ed investimento di medio-lungo periodo nonché nell’applicazione di quelle riforme strutturali reclamate da più parti a gran voce.

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22/08/2014
Valentino Angeletti
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Supporto ai Curdi con armi, conferma di una politica estera europea frammentaria a cui porre rimedio

Dopo l’esposizione delle Commissioni Parlamentari di Esteri e Difesa e l’audizione dei rispettivi Ministri Federica Mogherini e Roberta Pinotti, il Parlamento si è pronunciato favorevolmente al supporto politico, umanitario e militare a mezzo della fornitura di armi al popolo Curdo che sta combattendo una tremenda guerra contro gli Jihadisti dello stato islamico ISIS. Le armi inviate al governo regionale curdo sono quelle sequestrate una ventina di anni fa nei Balcani, abbastanza obsolete, ma con le quali l’esercito curdo ha già dimestichezza. I partiti contrari all’operazione sono stati M5S e Sel del resto Di Battista aveva già palesato come ogni supporto armato non sarebbe stato appoggiato dal suo partito (M5S) e che si avrebbe dovuto elevare il terrorista a rango di interlocutore e trovare una soluzione se non pacifica quantomeno diplomatica.

La misura dell’Italia ad appannaggio dei curdi a ben vedere rischia di avere effetti quasi irrilevanti e, se è vero come è vero il detto “corsi e ricorsi storici”, non è da escludere che tra qualche anno le stesse armi potranno essere usate contro di noi o contro i nostri alleati, come è accaduto in Afganistan, in Cecenia, in Georgia, nello stesso Iraq e finiamo qui l’elenco impietoso.

Non v’è dubbio che la situazione sia complessa, si intreccino estremismi e fanatismi religiosi assieme ad interessi territoriali, politici ed economici, con l’energia, le materie prime, l’acqua sempre in primo piano. In pochi possono ritenersi tanto conoscitori di quei territori e delle dinamiche che ivi regnano da poter dare una panoramica attendibile e veritiera di ciò che sta accadendo e delle motivazioni che ne sono alla base e sicuramente non possiamo annoverarci in quella schiera di esperti, tanto che in casi come questo è preferibile tacere sulle cose che non bene si conoscono.

Il terrore ed il sangue che però è sgorgato in quei territori è sotto gli occhi di tutti a cominciare dalla strage della minoranza religiosa degli Yazidi, una confessione che professa una sorta di sincretismo Cristiano – Mussulmano già portato avanti dai mitologici Templari come paiono testimoniare alcune statue simili a Gino Bifronte ritrovate anche nella Magna Grecia italiana. Gli Yazidi sono una delle religioni più tolleranti in assoluto, tanto che non si sentono in grado di disprezzare totalmente neppure il loro demonio in quanto anch’esso creatura di Dio che come tale potrebbe riceverne la grazia e loro non potrebbero sopportare l’onta di aver odiato un essere poi entrato nelle grazie Divine. Proprio questa sarebbe la ragione, riteniamo di facciata, a spingere l’odio islamico nei loro confronti.

Negli ultimi giorni poi lo scempio si è protratto con la decapitazione a sangue freddo del giornalista statunitense Foley, rapito circa due anni fa in Siria (ancora sequestrati risultano un altro giornalista USA e due ragazze italiane). Siria che rimane probabilmente il terreno da cui tutto ha origine e da cui si dovrebbe partire per realizzare una situazione se non di pace almeno di equilibrio nell’area mediorientale.
Il gesto non ha lasciato l’occidente insensibile, e sembra proprio difficile poter riuscire a dialogare con questo genere di persone in modo diplomatico ed alla pari, ovviamente la soluzione diplomatica e pacifista sarebbe quella da perseguire in ogni circostanza, ma il suo buon funzionamento sussisterebbe forse solo in un mondo ideale; in un caso come questo credo che, non escludendo a priori nessuna possibilità, vada ragionata con cura quale sia la strategia di intervento migliore da seguire che offra il miglior compromesso rischio-beneficio mantenendo l’incolumità dei civili al primo posto nella lista degli obiettivi da perseguire.
Le alternative oltre a quelle pacifiste e diplomatiche che sembrano poter sortire ben poco effetto (se vi fosse qualche idea concreta su questa falsariga è il momento giusto per farsene portavoce) sono appunto l’intervento o l’indifferenza lasciando che il conflitto faccia il suo corso e con la conseguente chiusura delle frontiere e di ogni supporto.
Oggettivamente l’opzione di non agire renderebbe complici del massacro. la via, irta e dolorosa, rimane pertanto una sola, da studiare ed elaborare nel migliore dei modi.

Obama si è pronunciato in un discorso asserendo con forza che i terroristi dell’ISIS non hanno un posto nel XXI secolo, mentre il Pentagono ha diramato la notizia che un tentativo di liberare alcuni prigionieri USA in Sira non è andato a buon fine e che è possibile l’invio di un piccolo contingente di terra in Siria per far giustizia a Foley e per proteggere le strutture statunitensi nel territorio, non più solo droni pare di capire.

Il Ministro Mogherini, ricalcando quanto detto dal premier britannico Cameron, ha preso atto che la minaccia dell’ISIS può raggiungere il cuore dell’Europa e dell’occidente. Proprio perciò la lista degli obiettivi sensibili potenzialmente oggetto di attacchi è stata ampliata ed allertata.

Il Primo Ministro Renzi in visita lampo in Iraq ha confermato la propria vicinanza al popolo curdo, dicendo che l’Italia e l’Europa non possono rimanere insensibili a quella guerra e che il massacro deve prevaricare ogni tema e discussione economica. L’Europa, evidenzia Renzi in veste di Premier italiano e Presidente di turno dell’Unione, deve essere lì, vicina e lavorare alla risoluzione del conflitto per supportare la transizione verso un governo inclusivo.

Quello che dice il Presidente di turno è più che vero, ma proprio in quell’ottica risulta veramente difficile ritenere minimamente risolutivo l’invio di armi che altri stati europei assieme all’Italia si stanno accingendo a fare in una operazione del tutto frammentaria.

L’Europa in realtà, da entità forte ed autorevole che vorrebbe essere, dovrebbe essere presente in Iraq, in Israele ed a Gaza, in Siria, in Libia, se vogliamo in Nigeria ed in Russia – Ucraina.
Serve un piano congiunto ed una strategia di lungo termine per portare equilibrio e pace strutturale nelle zone del medio oriente, ne è consapevole il Minsitro Mogherini che lo ha ribadito nella sua audizione parlamentare ma ad oggi siamo ancora bel lontani dal vedere anche solo l’inizio di un processo simile, e gli interventi estemporanei ai quali si da adito sembrano confermarlo, assieme all’evidenza che la politica estera la difesa e la gestione dell’immigrazione a livello europeo (la dichiarazione del portavoce della commissione europea che Frontex è una piccola agenzia senza budget, impotente di fronte al processo migratorio che coinvolge l’Europa ne è una triste presa di coscienza) sono inconsistenti, quasi nulli, così come l’autorevolezza in questi campi dell’Unione.

L’Europa non pare ferma nelle sue decisioni, nella difesa dei suoi valori e spesso sembra in balia degli eventi, incapace di prendere posizioni. Pare inerme e non in grado di gestire o intercedere nelle crisi, tanto che non è mai direttamente l’Europa ad essere coinvolta ai tavoli diplomatici su temi di politica estera e difesa, ma sono i singoli stati a cominciare da Francia, Germania e Gran Bretagna.

A riprova di ciò vi è la caldissima situazione Ucraina. Ogni decisione importante è sempre stata demandata al consiglio di sicurezza composto da USA, Francia, Germania ed UK, così è stato anche per le sanzioni alla Russia (finanza, economia, banche e capitali, persone), che hanno visto gli USA fare da capofila seguite a tempo debito dall’Europa, ma con l’implementazione lasciata totalmente in capo ai singoli stati. Tali sanzioni hanno fatto sì male alla Russia, che a detta delle fonti USA sembrerebbe proseguire nel supporto ai separatisti nelle zone dell’est Ucraina, ma anche all’Europa stessa. La Russia di pronta risposta ha bloccato l’import alimentare sui suoi territori e starebbe per apprestarsi a bloccare i prodotti Apple sostituendoli son quelli Samsung ed a bloccare alcune bevande tra cui la Coca Cola.
Dalla Germania e dagli USA si susseguono le intimazioni a Putin di cessare il supporto armato ai separatisti, ed anche l’invio di oltre 200 camion di aiuti da Mosca a Kiev è stato oggetto di sospetti.
È di poche ora fa la chiusura a Mosca di quattro fast food Mc Donalds ufficialmente per motivi igienici, ma che sia una ritorsione contro le sanzioni pare più che possibile.
Questi provvedimenti in Europa impattano numerosi stati, molto più che gli USA. All’Italia una stima stabilisce che costerebbero tra i 750 ed i 1000 milioni di Euro annui.
Con tutto ciò la Russia esce indebolita, ma continua a seguire una propria strategia di potenziamento ben chiara, vale a dire stringere rapporti stretti con la Cina (il recente patto sul Gas ne è una testimonianza) ed al contempo espandersi con le sue multinazionali energetiche (Gazprom, Rosneft,, Lukoil, Rosatom etc) nei campi dell’energia, del petrolio e del Gas, incluso il trading di commodities, come dimostrano le recenti aggressive mosse di acquisizione ed il loro interessamento in ogni deal del settore.
Anche sull’embargo alimentare al Cremlino vale la pena dire che se Mosca decidesse di puntare alla semi-autosufficienza nel settore food avrebbe tutte le risorse, gli spazi, i mezzi e la forza lavoro per provvedere quasi in toto al proprio sostentamento.
Nonostante tutto la situazione in Ucraina non pare migliorare, anzi sembra stia peggiorando visto che, dopo l’abbattimento dell’aereo di linea malese, nei pressi di Donesk e Lugansk si susseguono guerriglie, un aereo dell’esercito regolare di Kiev è stato recentemente abbattuto ed un convoglio che trasportava profughi colpito con un bilancio di circa 30 vittime.

Nei prossimi giorni (23/08) ad intercedere per l’Europa in Ucraina in occasione della festa nazionale sarà proprio la Merkel, vero interlocutore europeo che sarà presente a Kiev dove incontrerà il Presidente Petro Poroshenko, a seguire il Primo Ministro Arseniy Yatsenyuk ed alcuni sindaci ucraini.
L’Europa rimane una istituzione molto eterea nonostante la gravità della crisi, sembra facile supporre che gli stessi interlocutori non ritengano l’Unione all’altezza del dialogo e preferiscano parlare singolarmente con gli esponenti più autoritari come Germania e Francia.

Da chiedersi però se l’interesse dell’Europa possa essere portato avanti da un singolo stato, in tal caso la Germania, che ha ovviamente anche interessi nazionali, i quali in questa specifica circostanza coincidono con quelli italiani. Mi riferisco al fronte energetico (altro settore ove l’Europa mostra tutti i propri limiti) dove sia noi che i tedeschi abbiamo un’alta dipendenza da Mosca, sia sul fronte commerciale visto che l’export verso la Russia è di estrema importanza per Berlino e per Roma.
Allo stesso tempo però, sia Germania che Italia, e l’Europa tutta, vivono nel perenne limbo di dover appoggiare l’alleato statunitense, col quale si vorrebbero (e sarebbe bene giungere alla firma) stipulare importanti patti commerciali, in primis il TTIP, anche per quel che concerne il supporto di energia primaria (Gas di Scisto), ma al contempo non tirare troppo la corda col partner (perché di partner si tratta) russo dal quale dipende profondamente in particolare sul fronte energetico, settore strategico in cui una politica poco lungimirante non ha saputo, pur avendone le possibilità, portare alla sostanziale autosufficienza ed integrazione di mercato.

Evidentemente una entità sovranazionale che come l’Europa ha le mire di diventare un riferimento ed un interlocutore mondiale non può non avere una politica ed una strategia militare ed estera congiunte così come non può permettere, senza piani di lungo termine volti alla stabilità ed alla pace, il proliferare di focolai pericolosissimi a ridosso dei propri confini.
Anche la modalità di azione, come l’invio di armi ai curdi da parte di vari stati membri oppure sanzioni demandate ai singoli paesi membri, evidentemente misure frammentarie, di ripiego e difficilmente risolutive, oltre a poter rivelarsi controproducenti, danno ulteriore conferma ai nostri interlocutori, USA e Cina inclusi, della divisione dell’UE relegandola ad essere un interlocutore scarsamente autorevole e talvolta anche poco credibile per quel che concerne certi temi.

Tra le mille problematiche che Bruxelles deve quindi risolvere con alta priorità visto il precipitare degli eventi e la situazione economica, vi è senz’altro quella di elaborare strategie militari ed avere mezzi comuni, politiche estere congiunte e consistenti ed un approccio alle migrazioni articolato.
Puntare quindi a ricoprire quel posto tra i grandi attori della geo-politica mondiale volta alla pace, prosperità e protezione che il progetto europeo meriterebbe di avere.

21/08/2014
Valentino Angeletti
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Alternativa da 40 miliardi privata e complessa all’intervento sulle pensioni avanzato dal Ministro Poletti e per sostenere la ripartenza immediata

Mancano le risorse, a questo leit motive siamo ormai abituati, stavolta si tratta di circa un miliardo all’anno da destinarsi a stabilizzare la situazione degli esodati e tutte quelle anomalia occorse a valle della riforma Fornero.
L’ipotesi avanzata dal Ministro Poletti, e non nuova al Premier Renzi ed ai suoi consiglieri che la proponevano già in campagna elettorale assieme alla revisione delle pensioni di reversibilità, sarebbe un intervento di prelievo sulle pensioni “più alte”.
Non quelle d’oro alle quali (oltre 90’000 € lordi) il prelievo è già applicato in eredità dai precedenti Governi come ricordato dall’ex Ministro Giovannini, ma a quelle del ceto medio, oggettivamente piuttosto vessato dalla crisi tanto da perdere il proprio status quo di benestante, benché non si debba dimenticare che chi non arriva a fine mese fa parte di un ben più basso ceto sociale.
Le cifre non ufficiali (il Governo ha fatto intendere che la definizione ORO dipende da dove si pone l’asticella, e questa è una scelta prettamente politica) che circolano spaziano da i generici (netti o lordi?) 3’000 € dei giornali più orientati a destra, ai 3’500 € netti e solo nel caso in cui la differenza tra contributi versati con il sistema retributivo e pensione percepita sia “elevata” delle fonti più vicine al PD.
Partendo dal presupposto che nel nostro paese, ove si sta riscontrando un pericoloso incremento del divario tra ricchi e poveri che spacca la società letteralmente in due, un’azione di pesante ridistribuzione della ricchezza è necessaria (Link disuguaglianza sociale: Abbassare l’indice GINI con la meritocrazia e la collaborazione generazionale 24/06/13, Italia “deisegualissima”, dice il Censis. A cosa è dovuta questa disuguaglianza? 04/05/14, Censis: i poveri raddoppiano. Per loro solo speranze, poche possibilità nel breve 12/07/14) così come la presa di coscienza da parte di coloro che effettivamente risultano extra-tutelati ed ultra-avvantaggiati avviando una sorta di volontaria cessione di privilegi (in molti casi mai stati sostenibili) per assicurare un futuro alle nuove generazioni, riguardo all’ancora ipotetico provvedimento in questione vi sono molti dubbi.

Sia i partiti più orientati al centro destra, anche di Governo, sia i sindacati, sia innumerevoli esponenti del PD, hanno subito esternato perplessità e dissenso.

La tecnica del taglio dei salari e della tassazione in un momento recessivo non ha evidentemente funzionato né in Europa né in Italia, anzi ha acuito la povertà, il divario sociale e sostenuto la deflazione.

Il fine di questo provvedimento, per quanto sia un problema da risolvere, non è una misura per la crescita, per l’occupazione o per investimenti produttivi ad alto ROE, ma è il “mettere la pezza” ad un pasticcio all’italiana, un reagire e spendere senza ritorno, modalità che non avrebbe mai dovuto essere permessa, e che dovrebbe essere risolta in altro modo a cominciare dalla lotta all’evasione e corruzione per citare due esempi.

Altro elemento da considerare attentamente è che servono nell’immediato risorse non presenti. Tutti i provvedimenti, dalle riforme costituzionali – istituzionali, a quelli teoricamente più rapidi come la spending-review, un rinnovo delle politiche del lavoro e dell’occupazione, il pagamento dei debiti PA, il sostegno al credito, gli investimenti infrastrutturali e tecnologici, i progetti di ricerca, richiedono un fisiologico periodo per portare risultati concreti ed inoltre, come ricordato in più occasioni da Cottarelli, i proventi della revisione alla spesa non dovrebbero essere usati se non per investimenti produttivi (ma tipicamente di medio-lungo periodo) o per il taglio del debito, tuttora in crescita e tendente al 137%.
Come reperire quindi risorse per far ripartire subito l’economia senza attendere il delay temporale delle riforme e tappezzare alcuni buchi incresciosi?

Per prima cosa è necessario che Europa e BCE si mostrino più reattivi e capaci, perché senza un loro pesante intervento l’Unione rischia lo sgretolamento (in ogni caso, anche con un differente approccio economico non verranno giustamente mai consentite spese improduttive). A tal fine quindi il tavolo smentito dal Governo per dialogare con Bruxelles sull’applicazione della flessibilità non sarebbe una vergogna, sarebbe anzi auspicato ed estremamente utile soprattutto quand’anche coinvolgesse profondamente tutta l’Europa e la BCE, e neanche avrebbe motivo di essere così nascosto.

La seconda questione, lato Italia, deve affrontare il bisogno di risorse immediate (si parla di poche settimane). La spending-review rimane il fulcro, perché non possono essere più concessi certi sprechi sulle spalle della collettività, ma da sola potrebbe non bastare, richiedere tempo ed essere già blindata come impiego (debito, investimenti e lavoro). Vale la pena allora considerare un intervento condiviso, discusso ed elaborato assieme al popolo, che a valle del bonus Irpef aveva riacquistato un po’ di fiducia, sentimento iniziale da confermare (Fiducia dei consumatori: “sentiment” che attende di essere confermato 29/04/14), e che ora, con questo sgambetto sulle pensioni, con le clausole di salvaguardia minacciose all’orizzonte, con le accise, i bolli, le tasse SIAE sui dispositivi di memoria e via dicendo, rischia di sparire nuovamente preda dell’incertezza con conseguente, ulteriore, riduzione dei consumi (per quanto possibile).

Si potrebbe allora iniziare a ragionare senza ideologie preconcette sulla patrimoniale, ma con un aspetto di volontarietà. Servirebbero industriali, facoltosi ricchi, super manager e dirigenti, veri capitani coraggiosi (altro che Alitalia), in sostanza il 10% detentore del 50% del patrimonio nazionale (quindi 4’000 degli 8’000 mld € complessivi, ipotizzando 1% di contributo progressivo medio sarebbero 40 mld in poche settimane-mesi), che si proponesse di mettere a disposizione, una tantum, una certa percentuale dei propri averi per ridistribuire ricchezza, e provare a risollevare l’Italia.

Ovviamente e giustamente non possono farlo gratis, ma devono vedere una contropartita vantaggiosa; essa dovrebbe consistere in un piano industriale nazionale, una politica di investimenti, azioni sul mercato del lavoro, sul capitale umano e sulla meritocrazia, meccanismi di sostegno alle imprese ed all’economia, eliminazione della burocrazia, certezza delle norme e della giustizia, assieme ovviamente ad interventi radicali sul fisco. In sostanza dovrebbero avere evidenza di un piano che non sprechi il loro sacrificio in mille rivoli e che smetta di chiedere incessantemente risorse introducendo balzelli che tutto sommato spesso poco si discostano da delle minipatrimoniali con scarso o nullo effetto finale. Al tavolo dovrebbero parteciparvi attivamente gli elargitori e stavolta, essendo stata fino ad oggi incapace, dovrebbe essere la politica a farsi dirigere.
Così facendo se l’economia ripartisse gli stessi “benefattori” ne trarrebbero beneficio per loro e per le loro attività.
Si tratterebbe chiaramente di un fallimento dello stato, che forse è già avvenuto in più di una occasione, a cui porrebbe rimedio il privato; cosa non giusta ma che a questo punto pare inevitabile per innescare quello shock che né istituzioni nazionali, né istituzioni europee ne tanto meno BCE sono stati in grado di dare in tempo utile.
Si tratterebbe di un vero patto da rispettare ed onorare ed occasione per riguadagnare credibilità istituzionale.
Ad ipotesi simili del resto non si sono mostrati avversi alcuni importanti industriali che invece di delocalizzare puntano ancora sul paese, investono e non hanno la minima intenzione di andarsene, pur facendo dell’export la loro principale voce di profitto.
Sarebbe un gesto di redistribuzione volontario non fine a se stesso e per tanto inefficiente, ma studiato in modo da innescare quella ripartenza benefica che ha visto le istituzioni incapaci, lente ed egoiste nella difesa di vecchi baluardi e posizioni ideologiche, partitiche o di rendita.
Una rivoluzione proposta e portata avanti dal basso senza alcuna scusa per non essere implementata visto che sarebbe avanzata seriamente dai diretti interessati.

19/08/2014
Valentino Angeletti
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Padoan: crescita molto lontana da quanto previsto. Indiscrezioni di un non facile tavolo segreto per vincoli europei più flessibili. Che questa volta sia quella buona.

La smentita, o meglio il no-comment ufficiale da parte del porta voce del commissario UE per gli affari economici e monetari è arrivato immediato come risposta alla possibilità comparsa oggi su La Repubblica dell’esistenza di un tavolo trasversale a livello europeo per rivedere i patti ed i trattati nell’ottica di una maggior flessibilità. Il portavoce UE oltre al non rilasciare commenti si è limitato ad affermare che la valutazione delle leggi di stabilità 2015 dei singoli paesi membri avverrà come di consueto in autunno. Pier Paolo Baretta asserisce che la trattativa vi sarà e prenderà corpo nei prossimi giorni, tipicamente cercando di lavorare sui tempi e sui ritmi di rientro e di rispetto dei parametri, pur confermando l’intenzione dell’Italia di non superare nel 2014 il 3% deficit/PIL e riscontrando la presenza della Francia tra i richiedenti di più flessibilità e con la quale potrebbe nascere un potente asse.

Secondo il quotidiano, che ritiene la trattativa in essere già da qualche settimana, le discussioni verterebbero sulla possibilità di ridurre il ritmo di rientro del debito al 60% del PIL, passando dalla riduzione dell’eccedenza, appunto rispetto al 60% (prevista a partire dal 2015), da 1/20 all’anno ad 1/40 (verrebbe di fatto dimezzato il ritmo, almeno inizialmente) e di poter innalzare il valore del rapporto deficit/PIL previsto per il 2015 da 1.8% a 2.2-2.4%. Il primo provvedimento potrebbe liberare tra i 4 ed i 7 miliardi portando le risorse previste per il DEF 2015 da 20 a 15 miliardi circa. Il secondo potrebbe liberare anch’esso circa 5 miliardi.
Risorse decisamente utili e che potrebbero essere utilizzate i differenti modi, tanti sono i fronti aperti e che devono essere affrontati celermente nel nostro paese, ma che di certo non è possibile sprecare o riservare a provvedimenti una tantum senza ricaduta positiva, senza cioè che vengano destinati ad un investimento in grado di moltiplicarne nel tempo il valore. Ovviamente la contropartita per la revisione delle condizioni dei patti è l’implementazione rapida delle riforme economiche, tanto sbandierate, ma mai realizzate in concreto.

Sia Baretta che Padoan continuano a sostenere che nessuna manovra correttiva sarà necessaria, e questi risparmi potrebbero essere quasi una manna dal cielo, pur rimanendo il valore del DEF 2015 piuttosto elevato, e lasciando da pensare che probabilmente per innescare quello shock necessario a riattivare l’economia servirebbe almeno 4 o 5 volte il valore ipoteticamente liberato.
A maggior ragione in un frangente difficoltoso, con dati di PIL preoccupanti per l’Italia (LINK) e per l’Europa (Il PIL dell’Eurozona non conforta 16/05/14), con Moody’s che mette in dubbio la capacità di rispettare il vincolo deficit/PIL per il 2014 e con Goldman Sachs che avrebbe stoppato l’acquisto di titoli di stato italiani, che fortunatamente al momento non faticano a trovare acquirenti, ma si sa che in finanza i venti cambiano rapidamente.
A ribadire le enormi difficoltà è lo stesso Ministro Padoan che ad una intervista a BBC4 afferma che sulla crescita in molti avevano peccato di eccessivo ottimismo (in realtà era già stato detto più volte, anche in questa sede) e che la realtà è più complessa di come era stato pensato, la crescita sara decisamente più lenta e ben lontana dalle stime. Ha aggiunto inoltre che gli effetti delle riforme per entrare a regime necessiteranno di un paio di anni (ed è per questo che si è sempre detto che servirebbe un intervento shock, impossibile per gli stati se soggetti agli attuali vincoli UE, e con la BCE cronicamente in ritardo) e che quindi i risultati dovranno essere misurati tra 18 mesi, Il ministro aggiunge poi una frecciata, non la prima (LINK), alla BCE esortandola a fare il proprio dovere e riportare l’inflazione al condiviso target del 2% (Deflazione – LINK).

Visto il mistero che aleggia attorno a questo episodio non è possibile dire se questa apertura europea sia vera o meno, di sicuro il fatto che se ne cominci a parlare seriamente, benché in ritardo è interessante e speriamo sia di buon auspicio, perché di alternative non ve ne sono.
Importante sarà l’asse Italo-Francese (come per altro si è già detto) con eventuale aggiunta spagnola per innalzare il potere contrattuale del fronte “anti-austerity” (tenendo a precisare che lo sia per affrontare un momento decisamente recessivo e complesso come gli errori sulle stime di crescita dimostrano, non lasciando nessuno incolpevole).
Sicuramente non mancheranno le opposizioni, a partire dalla stessa Germania che potrebbe non aver subito il colpo inferto dal dato PIL Q2; ed ancora da capire è la reale volontà della commissione di aprirsi a nuovi approcci, perché nonostante gli intenti tutto sommato trasversali della compagna elettorale pre-elezione europee, alla loro conclusione dichiarazioni alterne si sono succedute mantenendo viva la domanda su che tipo di Europa si volesse realmente e se si fosse capito in che condizione difficile ci si trovasse.
Altro fattore di rischio è rappresentato dalle nomine delle nuove commissioni che dovrebbero avere un momento decisivo il 30 agosto, ma sulle quali sussistono ancora divergenze. Questo processo, dominato da una non snella procedura europea, potrebbe sottrarre tempo prezioso ad altre attività più prettamente rivolte alla crescita ed al lavoro ad esempio, temi che come presidente di turno l’Italia ha il dovere di porre in cima all’agenda dei lavori di Bruxelles, pungolando qualora si perdesse di vista l’obiettivo, proprio come Bruxelles non lesina fare con l’Italia. Serviranno quelle capacità di leadership, di negoziazione e di comunicazione, di mediazione e dialettica, di visione globale ben oltre al di là dei “vicini” confini europei fino ad ora venute meno; serviranno poi persone competenti da proporre nelle posizioni ove possano dare un reale contributo, fin adesso sacrificate alle nomine principalmente per spartizione politica; infine andranno abbandonati l’arroganza, la superbia, l’autoritarismo, l’egoismo, la volontà di primeggiare facendo, quasi fosse una sfida personale, tutto in solitaria, perché il confronto e la contaminazione dovranno essere valori alla base della nuova unione.
Lato italiano i possibili problemi sono la lista delle priorità sulle quali indirizzare l’attività parlamentare che dovrebbe essere incentrata su quelle riforme richiesta da investitori ed Europa e che pur di risvolto istituzionale-costituzionale hanno un impatto economico (burocrazia, stabilità norme, giustizia, lavoro, tasse) e gli scontri interni su temi importanti ma attualmente secondari, come potrebbe essere l’articolo 18, le unioni civili, interventi sulle pensioni, ipotizzate dal Min. Poletti, e via discorrendo.
Infine vi è il fattore BCE (e bene ha fatto Padoan, col suo solito aplomb a rispondere per le rime all’istituto di Francoforte), che non può più solo limitarsi a gestire l’effetto annuncio che ormai ha perso di appeal, ma deve agire direttamente sull’economia. A settembre dovrebbe partire il piano straordinario che include TLTRO, l’acquisto di cartolazrizzazioni da banche, ed eventualmente di titoli di stato, in contemporanea a stringenti controlli e stress test sullo stato di salute delle banche.

Il tempo stringe sempre di più, una frase attuale, ma che assume sempre più gravità. La situazione da cui partire è problematica (LINK).
Gli investitori sono pronti a riposizionarsi rispetto al continente europeo ed a scaricare i titoli di stato di molti paesi per dirigersi altrove, verso mercati più competitivi e dinamici, a cominciare da USA, UK e qualche buon emergente (Cile ad esempio).
Ancora dobbiamo aspettare, come non si fosse atteso a sufficienza risentendo delle conseguenze di una colpevole lentezza sfociante quasi in inazione. Da sperare che questa volta, in fretta, da misteriosi piani e voci si passi a misure, piani e strategie subitanee e concrete.

17/08/2014
Valentino Angeletti
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Economia europea congelata, analisi, possibili soluzioni e rischi a valle dei dati di PIL Q2

L’economia europea è congelata.
Questa potrebbe essere la frase che riassume la condizione del vecchio continente a valle dei dati di PIL Q2 di Germania (-0.2%) e Francia (0.0%). Già le previsioni non paventavano nulla di positivo, ma forse la realtà è andata un po’ oltre.
Uno di primi commenti del Premier Renzi, con un tono non soddisfatto, ma un po’ di colui che si è preso una piccola rivincita, è stato quello di ribadire come la percentuale negativa della Germania dimostri che non esiste un caso Italia, bensì c’è un caso Europa. Ha poi aggiunto, nel modo abbastanza sentenzioso (ma è solo una mia impressione) che lo sta caratterizzando nelle ultime settimane, che considerando che i dati erano a lui noti già da una settimana l’ISTAT avrebbe potuto evitare di fare la prima della classe nel diramare il valore del PIL italiano attendendo magari la stessa Germania e risparmiando così una impennata dello spread BTP-Bund.
Va detto che prima o non prima della classe se a Renzi i dati erano noti da una settimana probabilmente ai market maker che hanno mosso gli spread lo erano da un mese e quindi il fattore “momento di pubblicazione dei dati” non era altro che un diversivo per fare una mossa che avrebbero fatto comunque; come abbiamo più volte detto non sono le notizie che muovono i mercati, ma sono i mercati che cercano notizie per muoversi nella direzione in cui hanno deciso di muoversi. Se leggiamo qualche bollettino economico un dato per giustificare un impulso rialzista ed uno che contemporaneamente ne potrebbe giustificare uno ribassista si trovano in ogni piazza e quasi in ogni momento.

In realtà c’è poca da esser gaudiosi perché la situazione di evidente stagnazione non è un bene per nessuno e forse peggiora analizzando che una parte importante di questo arresto è dovuto al calo dell’export che non può far altro che colpire pesantemente i paesi manifatturieri, come Italia e Germania appunto.
A ciò si aggiungono poi le tensioni internazionali e le sanzioni commerciali alla Russia.
Per l’Italia la Germania rappresenta il primo paese per interscambio commerciale e la Russia vale interscambi tra gli 800 ed i 1000 milioni annui. Evidentemente se di una minimale sensazione di riscatto si può essere coinvolti (e nei confronti della Germania più di uno può emozionato), si tratta, passatemi la locuzione, di un “riscatto di Pirro”.
L’austerità prima e la deflazione come risultante, han poi fatto il resto con la conseguenza di mercati interni assolutamente poco dinamici, o per assenza di potere d’acquisto e salari ridotti (come in Italia) o per una ossessione nel rigore dei conti ed una resistenza ad ogni politica espansiva (come in Germania).
La Germania infatti, appoggiando e probabilmente costringendo l’Europa alla ferrea ricerca della disciplina e rigore di bilancio tramite lo strumento dell’austerità incondizionata benché in un periodo di evidente recessione, ha fatto terra bruciata attorno a se, erodendo anche quelli che erano i suoi mercati di sbocco principali, come l’Italia appunto.
Qui si è più volte ribadito che alla lunga, probabilmente sarebbe stato l’ultimo dei coinvolti, anche la Germania avrebbe dovuto pagare pegno ed ora il momento è giunto, forse anticipato dalle vicende internazionali russe che toccano estremamente da vicino Berlino in particolare su commercio ed energia. Internamente poi la Germani non ha, contravvenendo i consigli di Bruxelles, mai sostenuto i consumi forte di un export in grado di trainare il proprio PIL, riducendo di molto il proprio potenziale di locomotiva europea, ruolo che ha assolto solo parzialmente. Il surplus commerciale tedesco al 6% è al limite dei parametri e più volte le è stato suggerito di ridurlo aumentando i consumi e la spesa interna ed avviando vere liberalizzazioni, consigli sempre senza riscontro fattivo.

Allo stato attuale la condizione è molto complessa e pervasiva, si è protratta, sotto gli occhi di tutti, Commissione e BCE comprese, per troppo tempo, senza che venissero prese opportune contromisure, anzi, inasprendone gli effetti addentrandosi sempre di più in un viatico palesemente non foriero di alcun bene.

La BCE si è menzionato, ed infatti anche l’istituto di Francoforte non risulta incolpevole, prima perché non in grado di servire direttamente l’economia non regolando l’azione dell’intermediario bancario, poi perché non ha mai agito a sostegno dell’economia reale con la tempestività necessaria; e sta continuando a farlo, perché da giungo gli strumenti non convenzionali, ormai pronti a sentire i portavoce della Banca Centrale, sono slittati a settembre, ed anche a valle dei dati di PIL europei è stato ribadito che sono lì, pronti pronti ad essere usati. Ormai però i mercati, una volta entusiasmati da questo genere di annunci, sono divenuti più scettici e guardinghi.

La situazione pare essere molto prossima alla deriva, ed è composta da casi nazionali così come dal caso europeo.
Esiste dunque anche il caso italiano, perché dietro un dato non si può nascondere almeno un ventennio di gestione egoistica e fallimentare del nostro paese che ci ha portato al livello a cui siamo arrivati.

Questa stagnazione diffusa può avere il solo “vantaggio” di mettere davanti agli occhi di Bruxelles e di Berlino le evidenze dell’insuccesso, che peraltro più volte avevamo sottolineato e ribadito fortemente, della politica economica e del modello di governance fino ad ora adottato confidando che non si facciano orecchie da mercante e che si dia una rapida sterzata a cominciare dalla possibilità di mettere in discussione i patti ed i trattati, quantomeno nelle fasi di crisi acuta.

La Francia, con il suo Ministro delle Finanze Michel Sapin, ha rivelato la concreta possibilità di richiedere ancora più tempo per il rientro del rapporto deficit/PIL, ipotizzando un valore oltre il 4% a fine anno.
L’Italia ancora non è stata così esplicita e non ha preso una posizione netta, di certo potrebbe essere il momento di rilanciare (come di consueto in ritardo) quell’asse Roma-Parigi di cui si è più volte avanzata l’ipotesi (Cosa dovrà chiedere Renzi alla Merkel? 15/03/14).

Dal meridione italiano, che secondo lo SVIMEZ avrebbe perso nei 5 anni di crisi quasi il 14% del PIL e sta correndo il serio rischio di desertificazione industriale e di capitale umano, Matteo Renzi torna ad identificare come piano di crescita anti-crisi il rilancio proprio del Mezzogiorno, con grandi investimenti concentrati in pochi progetti di sviluppo (Lavoro, consumi, export ed un nuovo paradigma di sviluppo 29/06/13).
I casi di Termini Imerese o Gela potranno già farci capire di che tipo di sviluppo si parla, se vi sarà una riconversione verso settori annoverabili nell’attualità economica, come importanti poli tecnologici avanzati, distretti di innovazione e di studio delle materie più promettenti qualche possibilità di risveglio si potrà avere, se altrimenti la tendenza sarà quella di portare avanti settori manifatturieri a poco valore aggiunto, cronicamente in perdita e senza possibilità di essere competitivi, magari con lo scopo ultimo di una difesa senza se e senza ma dei posti di lavoro senza cedere ad alcun tipo di riqualificazione o re-impiego, sarà di nuovo il fallimento.
I settori a cui il sud può guardare sono molti, dal turismo all’agricoltura, dall’alimentare alla sartoria di pregio fino alla tecnologia che è presente in alcuni distretti all’avanguardia (troppo pochi e piccoli purtroppo), fino al settore energetico che potrebbe vedere il sud come snodo chiave di quell’anello (Mediterranian Ring) che collegherebbe energeticamente Africa, Medio oriente ed Europa, contribuendo alla diversificazione geografica e tecnologica, principalmente basata su energia rinnovabile, indispensabile alla sostenibilità del nostro sistema ed al percorso di svincolo rispetto alla Russia.
Sempre in tema energetico poi il sud sarebbe particolarmente adatto allo studio dell’integrazione tra fonti rinnovabili, fonti convenzionali (incluso carbone e gas), accumulo energetico ed ottimizzazione dei flussi in rete, scenari che si renderanno indispensabili per assolvere contemporaneamente i vincoli ambientali, la qualità e sicurezza del servizio e dell’approvvigionamento venendo incontro alle esigenze dei mutati contesti urbani. Il meridione potrebbe essere davvero un laboratorio, ma servono investimenti che possono parzialmente venire dai fondi europei, ma che in altra quota parte dovrebbero venire da privati e governo, sempre meno in grado di fare questo genere di spese a meno di non rettificare i patti europei appunto. Questi temi dovrebbero essere parte del cuore del fondamentale decreto Sbloccaitalia, al varo nel CdM del 29 agosto.

Accanto al caso italiano però vi è quello europeo che necessita anch’esso di un importante intervento, servirebbe un piano “Sbloccaeuropa”, che agisca sulle dimensioni di governance e di economia, implementando una politica di gestione più flessibile, snella e meno macchinosa, ed adatta ai rapidi cambiamenti che ci coinvolgono di giorno in giorno, lavorando per abbattere ogni particolarismo e cercando di armonizzare ed integrare il più possibile l’Unione dal punto di vista fiscale, bancario, normativo, energetico, di mercato, tecnologico e via dicendo, spingendola così ad una maggior condivisione di rischi e benefici (Euro Bond), in modo che non si creino gli squilibri e le concorrenze impari ad ora esistenti. In questo piano dovrebbero rientrare i 300 miliardi che il Commissario Juncker ha pronti per nuovi investimenti ed in generale per innescare l’inizio del rilancio dell’economia europea.

Un ulteriore caso è rappresentato dalla BCE che dovrebbe concretamente mettere in azione una qualche misura non convenzionale, a maggior ragione adesso che i consumi sono bloccati, l’export è in difficoltà, le sanzioni alla Russia comportano ingenti perdite e l’Euro rimane forte. In un momento simile sembrerebbe necessario cercare di supportare l’export attraverso un leggero deprezzamento della moneta da inserire accanto a misure in grado di convogliare liquidità alle aziende multinazionali e PMI.

Ciò detto il grosso rischio che permane è quello della lentezza. Per fare un esempio, la politica USA e la FED sono molto più rapidi, si sono dati dei target sull’occupazione e non hanno intenzione di interrompere le loro contromisure ed i loro stimoli fino a che non lo avranno raggiunto. Al momento, con la fragilità di alcune situazioni mondiali contingenti che rendono ballerini alcuni dati, stanno conseguendo il risultato.
In Italia potrebbe esservi il rischio di gravi rallentamenti del processo di riforme a causa di blocchi e dissidi su particolari temi di dubbia rilevanza immediata, come l’Articolo 18, altamente divisivo, mentre a Bruxelles, durante il nostro difficoltoso semestre, la partita delle nomine sembra succhiare tempo e linfa vitale ad altre attività.

In questo macro scenario gli anti europeismi potrebbero avere gioco facile, forti dell’assenza di ogni controprova, a calcare ulteriormente la mano propagandando derive nazionalistiche e di abbandono dell’Europa.
Gli investitori ed i mercati stanno invece alla finestra, si sono raffreddati nei confronti dell’Italia, tanto che il Premier ha rilasciato numerose interviste rassicuranti a testate internazionali, e sembrano pronti a riposizionarsi altrove con il pericolo che stiano partorendo un piano autunnale per una nuova ondata speculativa nei confronti del mercato finanziario e dei debiti sovrani europei.

15/08/2014
Valentino Angeletti
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Cinque analisi su alcuni fatti economico-politici salienti della settimana:

Imperversa la deflazione 13/08/14:
Eccola la deflazione… brevemente, c’è poco da dire, solo le due solite domande

Riforme italiane, la lesson learnt spagnola ed allerta Moody’s 11/08/14:
L’Italia e le riforme: la lesson learnt spagnola ed il filo guida europeo che ci ricordano (Moody’s) di non perdere

Discorso non innovativo e pungente di Draghi, ma con una BCE cronicamente troppo attendista 08/08/14:
La BCE si mostra attendista anche in emergenza ed offre, pungente, una ricetta ben nota

Pil a -0.2% con le aspettative che erano altissime 06/08/14:
Non il Pil prevedibilmente basso, ma delle aspettative troppo alte. Cosa ci attende e cosa si deve fare in concreto?

Scontro Renzi-Sangalli 80€ 06/08/14:
Rezi-Sangalli: 80€ utili? Certo, ma il contorno non va

13/08/2014
Valentino Angeletti
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Eccola la deflazione… brevemente, c’è poco da dire, solo le due solite domande

In Italia 10 città (Torino, Firenze, Roma, Trieste, Verona, Livorno) sono in deflazione, il dato nazionale annuale attesta l’inflazione a +0.1%, al quale contribuisce il calo degli energetici e quello dei beni alimentari come frutta (-10.1%), verdura (-8.8%) e cibi proteici che tra l’altro denotano una mutata e spesso malsana deriva forzata dalla ristrettezze economiche delle usanze alimentari degli italiani con possibili conseguenze sulla salute ed a tendere sul sistema sanitario nazionale.

Inflazione italia per regione luglio da Istat

 

 

Di norma studi dimostrano che se le abitudini alimentari non vengono ripristinate nel breve col passare del tempo esse si consolidando quand’anche le motivazioni che hanno portato al nuovo regime non sussistessero più.
Il calo degli energetici non è del tutto negativo, ma, sostiene l’economista Giulio Sapelli (in tal caso da tempo, ancor prima di Renzi, autodefinitosi Gufo), a causa del fatto che rispetto all’Europa il loro prezzo in Italia è maggiore per l’iper-regolamentazione dell’Authority, esso indica che in realtà il dato deflattivo italiano sarebbe ben peggiore se fosse epurato dal sovra-costo rispetto all’Europa degli energetici stessi.

Relativa agli acquisti, o meglio ai non acquisiti, è invece la preoccupante deflazione sui beni di consumo che deriva non da una sana competizione di libero mercato stimolata da ferventi consumi e dal mercato esterno ed interno, bensì dal drastico calo del potere d’acquisto dovuto alle problematiche che tutti conosciamo e che abbiamo discusso innumerevoli volte (riduzione dei salari e del potere d’acquisto, calo del lavoro per i liberi professionisti, artigiani e commercianti, disoccupazione, perdita del lavoro, ammortizzatori sociali, imprese in difficoltà che chiudono, incertezza sul futuro, impossibilità di accedere al credito, pressione fiscale stabilmente ai vertici mondiali).

La tendenza deflattiva aleggia in tutta Europa ed ha già raggiunto: Bulgaria (-2%), Grecia, (-1,5%), Cipro (-0,9%), Portogallo (-0,4%), Svezia (-0,4%), Slovacchia (-0,2%), Spagna (-0,2%) e Croazia (-0,1%) mentre galleggiano sul filo assieme all’Italia: Danimarca e Ungheria (0,2%) e Paesi Bassi (0,1%). Anche Francia e Germania ne sentono il rischio ed a livello europeo il dato si attesta allo 0.5%, notevolmente distante dal target della BCE nell’intorno sinistro del 2%.

Molto si è già scritto sulla deflazione (si riportano alcuni link a piè pagina) tanto che riparlarne porterebbe sicuramente a ripetizioni tautologiche. Rimane però la domanda di fondo:

perché l’Europa non ha attuato strategie, politiche e meccanismi di supporto ai consumi, o che consentissero agli Stati membri di supportare i propri consumi ed esportazioni, quindi abbandonando l’austerità ed il rigore di bilancio totale e ferreo quantomeno nel periodo di recessione?
Si potrà dire che la Germania o gli stati nordici hanno fatto pressione affinché non avvenisse, senza tenere in conto che (e qui lo si è ribadito svariate volte) alla lunga avrebbero risentito inevitabilmente della debolezza del continente, cosa che si sta manifestando anche in terra tedesca, rischiando così di avvitare ulteriormente la condizione generale europea che perderebbe quella locomotiva la quale nella sua colpevole tendenza particolaristica foriera di squilibri transnazionali è comunque riuscita a guidare il continente. La speranza è che questa situazione funga immediatamente da monito per la stessa Germania, per la Merkel, per Schauble e Weidmann.
Ancora, perché la BCE, pur avvertita dall’FMI, pur colma di grandi economisti, visionari e strateghi, pur con l’esempio USA, UK e Giapponese (che ha visto un brusco rallentamento del PIL, -1.7%, ma che in questa fase la politica monetaria dovrebbe essere sostituita dai primi effetti delle riforme e degli investimenti pubblici) non ha agito prima e più efficacemente per arginare la deflazione e rendere i prezzi stabili, obiettivo che tra l’altro rientra nel proprio mandato, consentendo al continente ed ai singoli stati membri di essere più competitivi?

Link su inflazione-deflazione:
Electrolux: sintomo primordiale di deflazione 28/01/14
La deflazione diventa un rischio sicuramente non casuale o imprevedibile…. 01/04/14
La revisione normativa può rilanciare il lavoro solo assieme ad interventi economici 02/04/14
Eclatanti misure della ECB: da ipotesi a fatti 04/04/14
Dati Istat confermano la tendenza alla deflazione. Quali misure aspettarsi da ECB ed IFM? 08/04/14
Merkel in Grecia, Lagarde a Washington, ed una strategia politico-economico-monetaria contro la stagnazione 12/04/14
Padoan lancia un messaggio alla ECB di Draghi per una politica monetaria più aggressiva? 29/04/14
Draghi: a giugno misure non convenzionali (forse), ma l’Italia non dovrebbe tardare il pareggio di bilancio. Che Europa si vuole? 09/05/14
La BCE si mostra attendista anche in emergenza ed offre, pungente, una ricetta ben nota 08/08/14

12/08/2014
Valentino Angeletti
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