Archivi Mensili: aprile 2015

Fiducia: la legittimazione che mancava a Renzi

FiduciaLa vicenda della riforma della legge elettorale “Italicum” sta giungendo ad un epilogo fondamentale, infatti, prima dell’approvazione definitiva con voto a scrutinio segreto sull’intero corpo della legge in programma martedì 5 maggio, si terrà nel pomeriggio di giovedì 30 maggio l’ultimo due voto di fiducia sull’articolo 4, dopo che gli articoli 1 e 2, votati mercoledì 29 e nella mattinata di giovedì 30, hanno passato la flebile forca caudina rappresentata dalla votazione di fiducia a scrutinio palese.

L’esito delle prime votazioni è stata una debacle impietosa per gli oppositori del Governo e soprattutto per la minoranza del PD, un marcia trionfale per l’Esecutivo ed in particolare per la persona di Matteo Renzi. I numeri sono abbondantemente dalla parte del Preimer: 352 voti favorevoli (350 per l’articolo 2), 1 astenuto, 207 contrari (193 per l’articolo 2). All’interno del PD  sono stati 38, i vecchi e meno vecchi big del partito tra cui Bersani, Bindi, Cuperlo, Fassina, Civati, Letta, D’Attorre, Epifani, Speranza, a non partecipare al voto (che gli è valsa l’accusa di ignavia da parte di esponenti M5S) non appoggiando di fatto la fiducia, mentre 50 elementi afferenti all’area riformista del PD si sono allineati al partito, come spesso accaduto in passato, votando favorevolmente.

L’ipotesi paventata da Renzi già qualche settimana fa di porre il voto di fiducia sulla legge elettorale è stata fin da subito motivo di tensioni politiche, e perché il tema della legge elettorale è di dominio parlamentare e non di Governo, e perché gli unici due precedenti, oggettivamente ed innegabilmente poco edificanti, risalgono all’epoca del fascismo, legge Acerbo, ed alla legge truffa. A valle poi del voto sulle pregiudiziali di costituzionalità, bocciate con un margine ampio di circa 150, in favore dunque della legge proposta dal Governo, sembrava ai detrattori ancor meno necessario il ricorso al voto di fiducia, essendo i numeri abbondantemente in favore dell’Esecutivo. La decisione comunicata dal Ministro Maria Elena Boschi proprio pochi istanti dopo il voto sulle pregiudiziali di ricorrere alla fiducia ha acuito ulteriormente le tensioni ed inasprito, come ormai tristemente frequente, i toni del dibattito parlamentare.

L’accusa mossa al Premier per la sua scelta da opposizioni e minoranza Dem è quella di una prova di forza non necessaria, di una azione con soli due precedenti infausti, di un eccesso di decisionismo ed autoritarismo che ricorda epoche fosche, di una volontà di sminuire il lavoro parlamentare, le opposizioni, il solito pacato Brunetta ha asserito che sarebbe volontà renziana ridurre il Parlamento in un bivacco di manipoli e dichiarazioni sulla stessa lunghezza d’onda sono state fatte da esponenti del M5S e PD, ed annichilire, annientare ed asfaltare la Minoranza Dem, avendo, con il voto palese, la possibilità di enumerare ed identificare chiaramente chi siano i dissidenti.

Lato Renzi invece la questione di fiducia non sarebbe altro che, ed in tal modo è stata presentata ai media, alla comunicazione, al web in una campagna comunicativa molto attenta e puntuale, una (ennesima) opportunità democratica che il suo Governo da alle opposizioni ed a tutti coloro che gradirebbero mandarlo a casa. Lui invece vorrebbe, come non è stato fatto nel recente passato, “cambiare il paese” a suo modo e rapidamente: a tal pro ha impostato una direzione precisa. Effettivamente a livello prettamente teorico il ragionamento del Premier sta in piedi. Il suo Esecutivo ha redatto una riforma elettorale ed ora conferisce, con uno strumento criticabile, ma costituzionalmente ammesso, la possibilità a tutti coloro che hanno mosso pesanti critiche di votare in favore o meno del suo operato, di bloccare la riforma e mandarlo a casa anche (volendo) unendo le forze in “strampalate” alleanze. Proprio la tenuta del Governo è stata legata da Renzi alla fiducia e, sempre teoricamente, potrebbe rappresentare l’occasione per tutti coloro che almeno a parole gradirebbero assai questa ipotesi.

Innanzi tutto va però ricordato come ben meno democratica è apparsa la mossa del segretario PD di “epurare”, sostituendoli temporaneamente, la Commissione Affari Costituzionali dai 10 membri PD non sostenitori dell’impianto della riforma con esponenti amici. Tale gesto, di quelli che i cittadini apprendono di sfuggita e dimenticano nel giro di qualche decina di minuto presi come sono dai problemi del quotidiano, è parso decisamente autoritario e poco consono ad un aulico ed alto concetto democratico.

Se un obiettivo Renziano era contare ed asfaltare la minoranza Dem, esso è sicuramente riuscito, del resto visti i precedenti, la forza e la determinazione di questa compagine è stato un po’ come sparare su una “croce rossa” neppure a pieno organico. Il riallineamento dei 50 elementi di area riformista ha sancito una spaccatura dei dissidenti riducendola davvero al lumicino. Anche la dichiarazione di Bersani di non voler uscire comunque dal partito fa intendere che continuerà a “baccagliare” di una ditta ormai divenuta multinazionale che fa finanza e taglia rami aziendali, dall’interno del PD, mantenendo il ruolo di uno dei tanti “pungiball” su cui Matteo Renzi all’occorrenza scarica le sue tensioni.

Oltre alla motivazione precedente però, leggo nel ricorso ad una fiducia scontata un’altra volontà: quella della legittimazione del suo Esecutivo e del suo Premierato che spesso è accusato, infondatamente, di essere illegittimo e di non derivare da elezioni popolari. Il successo della fiducia era fin da subito scontato, o si sarebbe verificato un allineamento col Governo, oppure il Governo sarebbe caduto; questa ultima opzione risultava di fatto inesistente perché a nessun politico piace lasciare la propria posizione e poltrona, ed in caso di sfiducia, caduta dell’esecutivo e nuove elezioni, a meno di un intervento, improbabile per come ha impostato il suo mandato, del Presidente Mattarella, l’unico vincitore sarebbe stato ancora lo stesso Renzi (con qualche voto in meno ed un M5S in leggera salita), ulteriormente potenziato dalla possibilità di eliminare ogni dissidente e creare un Governo completamente suo: questa ipotesi non piace di certo agli avversari del fiorentino, tanto più se essi si trovano in posizioni di comando o di governo.

Il ragionamento del Premier è quindi efficace e banale: porre la fiducia. Se non piacciono l’operato e le modalità di comando e governo proposte, e che continueranno ad essere tali, c’è la concreta possibilità di far finire governo e legislatura e giocarsi nuovamente tutto alle urne. Se però viene votata la fiducia vuol dire che l’esecutivo ed il parlamento condividono la gestione del potere, il decisionismo, l’esercitazione del comando, la volontà di fare certe riforme rapidamente e subito, senza discutere, tergiversare e senza troppi confronti. La fiducia dunque è motivo per richiedere e pretendere appoggio e per, finalmente, avanzare una forma di legittimazione.

Lo strumento è potente soprattutto a livello comunicativo e si ritiene, a prescindere dalla vittoria scontata fin da subito, che sia la vera arma n grado di conferire a Renzi altri forti “attrezzi” comunicativi con cui giustificare il suo operato e screditare ogni tipologia di avversario.

30/04/2015
Valentino Angeletti
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Situazione politica tesa e contesto sempre più difficile suscitano critiche ed ipotesi di scenari quasi da complotto

Ogni giorno che passa si diviene sempre più consci e consapevoli di quanto, nonostante i proclami dei nostri leader di governo, la situazione italiana sia sempre più complessa e lontana dall’essere sulla via di un concreto, tangibile e duraturo miglioramento.

Il lavoro, pur tra le dichiarazioni ottimistiche troppo affrettate (come giustamente rimarcato da Poletti), non è ancora ripartito e ne sono una testimonianza reale, ben più oggettiva dei presunti 90’000 nuovi contratti a tempo indeterminato che probabilmente sono in maggior parte trasformazioni di vecchi rapporti precari ed instabili, le vertenze Wirphool-Indesit (nonostante gli accordi presi col Governo in sede di cessione della Ex Merloni), Auchan, che in Sicilia denuncia concorrenza sleale da parte di supermercati locali che praticherebbero contratti a tempo pieno trattandoli come se fossero part-time e risparmiando di conseguenza sui costi -se così fosse si tratterebbe di un caso palese di sfruttamento- , e Mercatone Uno, storico marchio sponsor del grande Pantani dei tempi d’oro, che ha portato i libri contabili presso gli uffici di Bologna per avviare le pratiche di fallimento. In tutto ciò ballano migliaia di posti di lavoro e queste vertenze, visto che il bianco e la grande distribuzione sono settori di consumo, testimoniano il proseguire della stagnazione, a prescindere dagli alti e bassi fisiologici dei dati mensili, bimestrali o trimestrali. Ci si deve augurare che il MISE ed i Ministri Guidi e Poletti assieme ai Sindacati lavorino alacremente per proteggere l’occupazione, in cui non ci si possono permettere ulteriori defezioni conferendo il sostentamento degli esuberi ad ammortizzatori sociali che richiederebbero risorse pubbliche scarseggianti, e contemporaneamente si concentrino per modificare un mondo del lavoro decisamente troppo obsoleto.

Anche la riforma della scuola lascia perplessi. Le proteste vengono da tutti i fronti, non può il Premier sempre evitare di mettersi in dubbio quasi che avesse il dono della perenne infallibilità e credendo che siano gli altri, dolosamente o inconsciamente per chissà quale stupidità, a sbagliare ed essere avversi al cambiamento in favore di una conservazione di privilegi. I docenti, con gli adeguamenti contrattuali bloccati da tempo, e gli studenti, che fruiscono un servizio mai all’altezza del paese sviluppato e progredito che l’Italia dovrebbe essere, hanno ben pochi privilegi da proteggere, eppure protestano. Credo davvero che servirebbe più dialogo, molto più dialogo ed umiltà.

Sul piano Europeo l’importante incontro che si è tenuto tra il Premier Renzi, Lady Pesc Mogherini, il Segretario Generale ONU Ban Ki Moon sulla nave San Giusto lascia un po’ di amarezza. Non ci volevano certo decine di tragedie in mare ed il Segretario ONU per ricordare che la priorità deve essere salvare vite umane. Invece tale messaggio è stato trasmesso come se fosse chissà quale novità o scoperta, elogiato come una epifania mistica e fino ad ora imperscrutata. In tutto ciò l’Europa continua a fare orecchia da mercante cercando di “lavarsi la coscienza” con l’aumento del budget per “Triton”, ora portato a 9 milioni di € parimenti al precedente piano “Mare Nostrum”, ma senza il ben più gravoso impegno di accogliere e gestire i flussi migratori, onere che rimarrebbe al primo stato di approdo, tra gli altri l’Italia appunto.

In tutto ciò la scena, e quel che è peggio le energie politiche, sono concentrate sulla Legge Elettorale Italicum (poi verranno le regionali).

Importantissimo, non vi sono dubbi, modificare il Porcellum incostituzionale, ma si deve pervenire, in tempi ragionevoli e compatibilmente con le priorità di un paese e di un continente ancora in difficoltà economica, con gli interessi dei cittadini e con lo scenario di elezioni al 2018, ad un risultato che sia di qualità. Il meglio non si potrà raggiungere, non è nelle corde dell’uomo, ma non ci si deve accontentare al ribasso solo per poter fregiarsi di aver agito. Invece, onde evitare confronti, discussioni e modifiche all’Italicum, si stanno facendo conteggi, si sta meditando sul voto segreto, sulla fiducia, si pensa a far slittare i lavori per, ossimoricamente, contingentare i tempi e rendere il processo più rapido, si propongono, da parte del Governo, aperture sulla Riforma del Senato in cambio dell’appoggio alla legge elettorale, scambio che, visto l’autoritarismo ed il decisionismo Renziano pare tanto un “Do (poi) Ut Des (ora): Aspetta e Spera”.

In tutto ciò si fa largo, in tono quasi ricattatorio, pure l’ipotesi di fine legislatura e caduta del Governo, con elezioni, a questo punto, non prima di fine anno, ma con la parola ultima che, mai dimenticarlo, in caso di crisi governativa spetta sempre e comunque al Presidente Mattarella il quale dovrà decidere come agire, avendo nel suo mandato la possibilità di formare un nuove esecutivo (il Premierato italiano, a dispetto di quanto i più credono, non è eletto dal Popolo sovrano, ma i poteri gli sono conferiti dal Presidente della Repubblica).

Sorge il dubbio, alla luce dell’ipotesi avanzata da Renzi di fine legislatura, solo sino a qualche settimana fa collocata inderogabilmente al naturale termine del 2018, che non siano così infondate le voci secondo le quali dalla City della Tremenda Albione i poteri forti della finanza siano molto delusi dall’operato Renziano in tema economico. I dati sono deboli e non tali da indicare una concreta, tangibile e strutturale ripresa, lo 0.6-0.7% di PIL è insufficiente e passibile di revisioni ed anche il supporto di un prezzo del greggio molto basso non sembra aiutare più di tanto. Lo scenario economico continua (e continuerà ancora a lungo) ad essere in balia di eventi esterni incontrollabili: flussi migratori, terrorismo, Ucraina-Russia, Libia, crisi Greca. Il supporto dei palazzi Londinesi (dove a ridosso della sua nomina Renzi era solito andare e riunirsi con controparti non ben definite) al Premier starebbe dunque venendo meno e là starebbero lavorando per un qualche avvicendamento.

Forse queste sono solo fantasie figlie di un “complottismo” a volte dilagante ed eccessivo, ma in altri casi figlio di evidenze non avulse dalla realtà e dall’oggettivo andamento dei fatti.

Non serviranno molti sforzi per verificarlo: aver pazienza ed aspettare al più sino a fine anno.

Valentino Angeletti
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Varoufakis all’Eurogruppo di Riga non ha Riga(to) dritto: clima teso soluzione greca lontana. Legge elettorale: potenziale fattore di instabilità in Italia. Lo scenario europeo potrebbe risentirne.

Mario Draghi, Governatore BCE, assieme al Presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, non lasciano trasparire distensione e tranquillità

Mario Draghi, Governatore BCE, assieme al Presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, non lasciano trasparire distensione e tranquillità

L’opinione che par essere condivisa da gran parte dei media, dalle istituzioni politiche ed economiche, dai Governi e dall’Unione Europea, è che il periodo di crisi stia volgendo verso una fase di inversione. Effettivamente qualche segno c’è e le congiunture macroeconomiche sembrano rimanere complessivamente favorevoli: il QE è stato avviato, il petrolio si mantiene basso, il sistema bancario pare aver raggiunto livelli di stabilità superiori rispetto agli anni più bui della recessione, l’inflazione/deflazione, pur con rilevanti differenze geografiche, pare aver allentato la morsa, il PIL, anche in tal caso con notevoli differenze tra zona e zona (USA, UK, Germania, ma anche Spagna, in gran spolvero, Italia ancora debole), dà segni positivi, il mercato del lavoro sembra timidamente ripartire anche in Italia, benché sia probabile, come accaduto per i primi due mesi del 2015, si tratti ancora di stabilizzazioni di contratti rispetto a nuove assunzioni (Link), del resto l’industria nostrana, conferma ne è il caso Indesit-Whirpool, stenta a ritrovare la fiducia massiva necessaria ad ampliare organico e ad impegnarsi in investimenti di medio-lungo termine.

Ciononostante, cercando di approfondire meglio il contesto complessivo, segni che potrebbero portare ad un qualche scossone economico, quantomeno nell’aera Euro vi sono. Taluni evidenti, altri meno.

Come avevamo già messo in guardia (LINK), la questione greca si sta dilungando in modo eccessivo, adesso, a valle dell’Eurogruppo di Riga, i nervi paiono a fior di pelle e le dichiarazioni hanno perso il carattere confortante e diplomatico delle settimane scorse. Avevamo già detto che sarebbe stato difficile se non impossibile, viste le intenzioni di Varoufakis, di giungere ad un accordo in questo Eurogruppo, e ciò ci fa sospettare che la liquidità, poca, a disposizione di Atene e reperita andando a racimolare ogni briciola disponibile (trasferimento all’ente centrale della liquidità di enti locali è misura del governo Tsipras di qualche giorno fa), possa consentire allo stato Ellenico di giungere sino a giugno sia per stipendi e pensioni che per il rimborso delle tranche di aiuti ricevute e che nei mesi di maggio-giugno ammontano complessivamente a 2.5 miliardi di Euro.

Le istituzioni ed i colleghi europei di Varoufakis pare che ormai abbiano perso i toni dialoganti, ed avrebbero, secondo Bloomberg, definito il ministro Greco come un:

“Professore perditempo, giocatore d’azzardo, in sostanza un dilettante”.

Lo stesso Draghi ha ripetuto più volte piccato che il tempo, agli sgoccili, sta scadendo e gli fa eco il ministro Schauble che, ancora più pragmatico, fa notare come il tempo avrebbe dovuto essere limitato, e l’avvicinarsi di questo termine ultimo (probabilmente da suo punto di vista già oltrepassato abbondantemente) sarà messo di fronte ai Varoufakis e Tsipras.

A snervare le istituzioni BCE, FMI, Commissione, ESM sono l’avvicinarsi dei rimborsi (entro il 12 maggio 750-770 milioni all’FMI) e le voci che vedrebbero Atene senza liquidità nel giro di due settimane, ma anche, e soprattutto, l’atteggiamento spudorato e guascone del Ministro Greco, sempre sicuro, al limite della strafottenza e come se fosse lui ad essere in una posizione di vantaggio.

La scarsità di liquidità sta spingendo Draghi e BCE a considerare scenari di Haircut sulle garanzie per rimborsi ai creditori pari al 50% – 75% fino al 90% il che renderebbe i collaterali (bond greci che ora arrivano ad interessi del 30%), usati a copertura della linea di credito di emergenza, carta stracca tanto da negare l’accesso di Atene a successive tranche di aiuti. La decisione su una simile azione potrebbe essere sul tavolo del prossimo board BCE il 6 maggio.

Chiaro che se la via fosse quella di un Haircut ed il conseguente dello stop della linea ELA saremmo di fronte ad un default pilotato, ipotesi che rimane quella più probabile sul tavolo. Molto più difficile pensare ad una uscita dello stato ellenico dall’Euro, forse vi potrebbero essere due forme di pagamento parallele, ma di fatto ciò sancirebbe la sconfitta e la reversibilità della moneta unica, evenienza che ancora viene definita impossibile. In ogni caso si tratterebbe, parafrasando Mario Draghi, di terreni altamente ignoti e, aggiungo io, assai complessi da gestire, principalmente contro le speculazioni finanziarie.

Oltre alle problematiche squisitamente tecniche, importanti ma note a priori, l’atteggiamento di Varoufakis è ciò che più disturba ed indispone i suoi colleghi. I portoghesi, finlandesi, spagnoli, irlandesi sono stufi di dover andare presso i loro parlamenti a giustificare concessioni acconsentite ad Atene e non concesse ai rispettivi paesi quando ne avrebbero avuto bisogno, viceversa non sopportano di dover giustificare manovre impopolari con i loro elettori che invece alla Grecia sono risparmiate.

In Grecia la situazione è complessa e difficile a livello sociale, e va detto che il Governo si sta impegnando a mantenere quanto detto agli elettori, confermando l’intransigenza, tipica dell’Europa con le richieste di austerity, promessa in campagna elettorale, del resto dal punto di vista di Tsipras le scelte sono poche. La banca del Pireo ha deciso di abbuonare agli indigenti alcune tipologie di debiti inferiori a 20’000 euro ed è intenzione del Governo reinserire le tredicesime sulle pensioni, tolte dal governo precedente. Questo uno dei pochi punti tecnici toccati a Riga e che ha fatto letteralmente “imbestialire” i colleghi di Varoufakis, alla pari del tergiversare sulle privatizzazioni, che in Grecia dicono di stare portando avanti perché hanno liberalizzato una licenza sulle scommesse del valore di qualche simbolico milione di Euro: intollerabile per l’UE una simile giustificazione.

Stavolta va spezzata una lancia in favore dei “falchi”, perché se è vero che Varoufalkis deve giocare la sua partita, ciò non toglie che stia giocando troppo e non abbia ancora presentato la lista di riforme chiesta e richiesta. Essa avrebbe anche potuto differire da quelle esplicitamente volute dalle istituzione, ma avrebbe dovuto essere qualche cosa di concreto e tangibile, quantificabile con relativa precisione, una base su cui intavolare una reale discussione, invece ad oggi sono stati presentati solo titoli, a volte fumosi ed al limite dello scherzo.

Il mix di tutto questo ha portato il clima di Riga all’esasperazione ed i toni del dialogo ad essere più che critici come dichiarato dal presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem.

Fin qui le tensioni sulla crisi greca che pare lontana dell’epilogo ancora piuttosto incerto, ma anche in Italia ci sono strani movimenti.

In patria il perno di tutto sono la legge elettorale Italicum e le divisioni, pesanti, che attorno ad essa si sono create (LINK). Il Governo non vorrebbe affrontare un nuovo passaggio in Senato dove avrebbe una maggioranza più risicata e sarebbe disposto a porre la fiducia alla Camera per evitare ulteriori modifiche che comporterebbero, appunto, un nuovo e più complesso passaggio presso l’altra Camera. Il Premier, contro tutti gli oppositori, dai membri dissidenti del PD, all’opposizione (FI in primis), agli alleati di maggioranza che non supportano l’Italicum, ha parlato per la prima volta di concreta possibilità di caduta del Governo e della Legislatura qualora la legge venisse modificata o, in caso di fiducia, il Governo andasse in minoranza. Mentre quindi fino ad ora lo scenario di fine legislatura era posto al 2018 adesso è più mobile. Il tentativo di Renzi di spingere sulle riforme è palese, forse sente anche lui un certo fiato sul collo e vuole portare risultati, magari anche non curandosi troppo degli eventuali effetti di una importante modifica non ponderata a sufficienza.

Vero è che il Premier può permettersi in questo frangente di fare la voce grossa visto che, in caso di elezioni, non sembrano esservi avversari tali da impensierirlo, e forse il M5S è l’unica compagine che numericamente può, nel caso di una massiva perdita di voti del “PD by Renzi”, metterlo minimamente in difficoltà, ma oltre allo scenario delle urne vi è anche la possibilità che il Presidente Mattarella formi lui stesso un nuovo Governo.

Ambedue gli scenari, ma soprattutto il secondo, sembrano fare il paio con alcune voci non ufficiali che provengono dalla City londinese, secondo le quali Renzi avrebbe stufato coloro che gli diedero credito, in quanto si attendevano misure economiche più incisive ed a questo punto del percorso renziano dati migliori. Lo 0.7%, 0.6% secondo FMI e Fitch (il quale mantiene lo scenario fragile ed il giudizio a BBB+) che se verificato cancellerebbe il tesoretto virtuale accumulato, di crescita del PIL per il 2015 non è sufficiente, così come la flessibilità in tema di lavoro non soddisfa, è una misura imposta, subita, e non ricercata ed apprezzata come in UK ed in USA. Gli effetti sul credito e sugli investimenti non ci sono ancora e sappiamo che le menti della finanza ragionano in quarti d’ora quando stanno pianificando il futuro, in decimi di secondo se sono impegnati nel trading HFT, quindi è assolutamente possibile che il vento nei confronti di Renzi nella tremenda Albione abbia invertito la sua direzione.

Evidentemente il fattore di un nuovo Governo, o per nomina o per elezioni, in un paese importante come l’Italia è un fattore di ulteriore instabilità, che se unito alla questione greca che potrebbe protrarsi o giungere a conclusioni non proprio positive, lasciano aperte numerosi ipotesi di incertezza per il futuro di medio-breve, situazione che tipicamente va prima di tutti ed in modo più incisivo a scapito dei cittadini spesso incolpevoli ed inermi.

25/04/2015
Valentino Angeletti
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La scena politica che orbita attorno all’Italicum

Mentre le attenzioni del mondo e dell’Europa, tanto istituzionale quanto civile, sono puntate sull’ennesimo disastro che ha coinvolto il barcone di migranti dalla Libia, solo uno tra tanti dei quali si è già parlato e di molti altri di cui forse non si conosce neppure l’esistenza, e che nonostante tutto testimonia l’incapacità totale della UE di riuscire a gestire e mitigare un gravissimo problema se non incidendo summit e vertici d’urgenza (anche se a distanza di ben 5 – 6 giorni dall’evento tragico) senza però convergere a concreti e tangibili risultati, come dimostra la periodicità di simili “disgrazie” (avevo già scritto in merito e non ritengo opportuno scriverne ancora, mi taccio, ascolto e tristemente constato: Disastro 06/10/2013 – Disastro 13/05/2014); e mentre a livello economico è ancora la vicenda di Atene, sempre più vicina anche secondo la BCE ad un default pilotato cercando di salvaguardare l’Euro, a tener banco, con il decreto del Governo “Tsipras” che impone il deposito della liquidità degli enti locali presso la Banca Centrale Greca per consentire il pagamento di stipendi, pensioni ed un anticipo dei rimborsi che dovranno essere corrisposti nei prossimi giorni (Aggiornamento Grecia 19/04/2015), in Italia il dibattito è in gran parte incentrato sulla legge elettorale Italicum.

L’ultimo aggiornamento in tema “Legge Elettorale” è davvero un colpo di scena, una mossa che non può non sancire la definitiva rottura nel PD. Che poi la minoranza DEM incassi questo nuovo affronto, dopo le dimissioni del Capogruppo Speranza, senza colpo ferire, inghiotta il rospo e continui, come fatto fino ad ora, a rimanere sempre più evidentemente insignificante, ed anche poco utile al paese, all’interno del PD è altra storia e, visti i precedenti, potrebbe pure accadere. Il PD ha deciso infatti di sostituire a tempo, in altre parole “epurare” per l’esame della legge, nella Commissione Affari Costituzionali, che ha il compito di pronunciarsi sull’Italicum, i 10 suoi membri che risultavano non allineati alla linea di partito, vale a dire disposti a portare avanti l’Italicum così com’è. I 10 nomi sono di primissimo piano e comprendono tra gli altri D’Attorre, Bersani, Bindi, Cuperlo. L’entourage del Premier si è affrettata a minimizzare asserendo che la decisione è stata presa di comune accordo con i 10 interessati all’interno dell’assemblea di partito testimoniando “grande responsabilità e dedizione”, versione immediatamente smentita da Cuperlo e “compari” che invece la ascrivono ad atto di forza autoritario la cui conseguenza sarebbe l’approvazione della legge senza che essa abbia la maggioranza e senza il rispetto del dialogo e del confronto necessario in democrazia che caratterizza il processo parlamentare tipico del potere legislativo, per costituzione non nelle mani del governo. Rosy Bindi si spinge oltre, e sostiene, non voce solitaria, che qualora il Premier decidesse di porre la fiducia su questo tema la tenuta del Governo e della Legislatura sarebbe seriamente messa in discussione e si avrebbe la scintilla necessaria e mai trovata fino ad ora affinché nasca una nuova formazione di Centro-Sinistra.

La minoranza interna è pronta a sfidare l’Esecutivo in aula e non è l’unica, perché contro la riforma elettorale si sono schierati anche l’alleato di Governo Scelta Civica, SEL, M5S e FI. M5S è pronta a sostenere la minoranza DEM, mentre FI e Scelta Civica hanno già dichiarato la loro intenzione di abbandonare l’aula. Il Premier Renzi da par suo è determinato a voler portare a casa un’altra vittoria approvando la legge così com’è, nei tempi stabiliti (27 aprile passaggio in aula del testo definitivo) e senza scendere a compromessi, non vorrebbe porre la fiducia, ma, se costretto, si dice disposto a farlo consapevole che ciò comporterebbe problemi di stabilità nella tenuta del Governo.

La battaglia dunque è attesa alla Camera dove se gli oppositori alla Legge unissero le loro forze potrebbero essere sufficientemente forti da poterne bloccare l’Iter richiedendo un nuovo passaggio in Senato. Gli emendamenti presentati sono stati 135, di cui 97 ammessi (11 presentati dal PD che si è impegnato a ridurli al minimo per spostare lo scontro in aula), da oggi iniziano le votazioni e si protrarranno fino a giovedì-venerdì.

Gli scenari che si potrebbero aprire sono dunque limitati.

Una possibilità è che la minoranza DEM composta dai 10 “epurati” (a tempo, perché si tratta di un allontanamento solo in vista dell’esame dell’Italicum che lascia spazio effettivamente a perplessità: è possibile cambiare una commissione con una più allineata? In tal caso a che servirebbe quel passaggio se già in partenza si conoscono le posizioni, in quanto messi lì ad hoc, di coloro che si dovranno pronunciare?) rientri nei ranghi supporti il Segretario di partito e, senza ricorrere alla fiducia, l’Italicum venga approvato privo modifiche.

Una seconda possibilità è che l’Italicum venga bocciato e richieda un altro passaggio in Senato.

Terza ed ultima possibilità è il ricorso alla fiducia.

La prima opzione sarebbe un successo di Renzi, il quale avrebbe avuto ragione sulla legge ed avrebbe asfaltato ancora una volta i suoi oppositori. Ne uscirebbe ulteriormente fortificato e con un motivo in più per ribadire e dichiarare quanto il suo Esecutivo sia determinato in tema di riforme, vessillo da poter sventolare in Europa con quelle controparti, quali BCE, Commissione, ma anche Bankitalia, che intimano prudenza e fanno notare al nostro paese quanto i conti siano ancora ben lontani dalla stabilità e quanto vicende esterne, ad esempio la telenovella greca che è legata a spread e mercati, possano compromettere i passai avanti fino a qui fatti.

La seconda e terza opzione, che deriverebbero dalla coerenza sulle proprie posizioni della minoranza DEM, comporterebbero la definitiva rottura nel PD, con tutta probabilità l’uscita della minoranza verso un nuovo soggetto politico di centro-sinistra, e darebbero l’opportunità al Premier di valutare l’orizzonte di elezioni anticipate che ufficialmente non vorrebbe affrontare, avendo ribadito più e più volte che il termine per questo Esecutivo è posto al 2018.

In uno scenario così frammentato, senza veri avversari, senza una formazione di centro destra pronta a sfidare il Premier e con le divisioni interne al PD che mostrano quanto sia debole una minoranza così poco organizzata (pur avendo avuto varie opportunità in passato ha scelto di non organizzarsi autonomamente senza avviare la creazione ed il consolidamento di un soggetto a sinistra del PD che qualche margine di manovra lo avrebbe), la vittoria di Renzi con un’affermazione numericamente ampia e tale da consentirgli di creare un Governo a sua immagine e somiglianza, come sta già provando a fare, ma con l’aggiunta della legittimazione popolare in vere elezioni nazionali, pare scontata. Forse proprio l’assenza di una differente legge elettorale rispetto a quella attuale, diversa per Camera e Senato, rappresenta il solo dubbio nella mente di Renzi, mentre la debolezza intrinseca degli avversari, consapevoli di ciò, può richiamarli all’ordine e non rischiare l’azzardo.

 

21/04/2015
Valentino Angeletti
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Soluzione greca lontana, parti distanti, tempi stretti ed euro pochi

Tsipras-Varoufakis“Il destino della Grecia è solo nelle sue mani”. Con questa frase il Governatore della BCE Mario Draghi ha descritto la situazione greca andando a significare ed a sottolineare come, lato istituzioni Europee (Ex Troika o Bruxelles Working Group che dir si voglia), il possibile è già stato fatto.

In tal senso, dal punto d’osservazione istituzionale, è chiaro come il destino della Grecia dipenda da Atene stessa: accetti il programma di riforme richiesto dall’Europa o ne presenti uno che ne ricalchi i dettami, e le tranche di aiuti saranno consegnate nelle mani di Varoufakis; in caso contrario non pare più esserci margine di trattativa. Viceversa è evidente che il destino, forse dell’intera Europa, ma sicuramente dello scenario economico finanziario dell’immediato futuro, è strettamente legato all’evolversi della vicenda greca. La dimostrazione è stata la violenta reazione dei mercati che ha seguito gli aggiornamenti provenienti da Washington dove si teneva il summit finanziario tra i Ministri delle Finanze europei, BCE ed FMI.

Probabilmente la notizia che le piazze finanziarie, ai massimi da svariati mesi/anni e pesantemente bisognose di giustificare una massiva presa di profitti ed uno scaricamento degli oscillatori, hanno colto al volo per stornare con decisione e per innalzare in modo generalizzato il livello degli Spread, è stata quella secondo la quale nella casse di Atene rimarrebbero appena 2 miliardi per il pagamento di stipendi e pensioni, con alle porte due importanti tranche di rimborso: 2.5 miliardi di € al FMI entro maggio-giugno e 7.5 miliardi alla BCE entro luglio-agosto. La notizia, subito smentita da Atene, effettivamente pare non essere troppo fondata poiché fu proprio il Ministro ellenico Varoufakis, pur mantenendo il consueto ottimismo poco oggettivo e poco avvalorato dai fatti, a dichiarare che difficilmente la soluzione all’impasse potrà avvenire all’Eurogruppo del 24 aprile, di sicuro si dovrà attendere almeno la fine di giugno.

È dunque ipotizzabile che almeno fino alla fine di giugno Atene sia in grado di onorare i propri impegni considerata l’assoluta intransigenza di BCE ed FMI sulle riscossioni che gli spettano. Secondo la testata tedesca Spiegel alla Grecia starebbero per arrivare in soccorso la Russia, che verserebbe 5-5.5 miliardi per i diritti di passaggio del nuovo gasdotto Turkish Stream, e Pechino, interessata a prendere parte ai processi di privatizzazione, tra cui il porto del Pireo, che l’UE chiede fortemente a Tsipras, per una quota di 10 miliardi di provenienza cinese. Se queste siano illazioni senza fondamento oppur realistiche, allo stato attuale delle cose, non lo si può sapere, certo è che nell’orbita degli interessi di Mosca a Pechino, che pure con diplomazia hanno smentito ufficialmente un simile supporto economico, vi è sicuramente lo Stato ellenico.

Lo scenario rimane bloccato e senza segni che lascino presagire sviluppi immediati. La posizione delle istituzioni è nota: intransigente ed in attesa della lista delle famose riforme che vadano a sostituire quelle presentate da Tsipras e Varoufakis non soddisfacenti per la loro genericità e difficoltà nell’essere quantificate oggettivamente in termini di introiti effettivi. La Grecia invece, per bocca dei sui leader Tsipras e Varoufakis, continua a non voler mollare. Del resto le promesse fatte in sede elettorale non possono essere disdette e nel paese cominciano a riaccendersi le tensioni, in particolare tra anarchici e polizia che sono venuti i contatto anche nei giorni scorsi. Varoufakis addirittura talvolta pare cadere in un ingiustificato eccesso di sicurezza ed emanare una lontananza dalla difficile realtà sia della trattativa sia del suo paese. Fuori luogo infatti è sembrata la risposta “radioso” alla domanda su come percepisse il futuro greco fatta da alcuni giornalisti a Washington. Ci sono poi i mercati in attesa di notizie ed illazioni per giustificare i propri movimenti ed a poco servono gli ammonimenti e le messe in guardia di Draghi indirizzate a coloro che vorrebbero speculare contro l’Euro.

Sullo sfondo vi è il futuro economico, istituzionale e politico dell’Europa. Le opzioni sono limitate: o la Grecia accetta le riforme, ma al momento non pare intenzionata a scendere a compromessi visto che è stato confermato l’innalzamento dei livelli dei salari minimi ed in programma rimangono l’aumento delle pensioni ed il reinserimento della tredicesima ai salari più bassi, tutte misure draconiane di riduzione salariale e di taglio lineare inserite dal precedente governo; oppure si prospetta l’insolvibilità di Atene. Questa seconda ipotesi lascia il campo a due strade, il default con mantenimento della moneta unica ovvero l’uscita dall’Eurozona.

Le istituzioni ed il Ministro italiano dell’economia Padoan cercano di tranquillizzare, assicurando che le misure prese dall’Europa sono in grado di sopportare un eventuale default ellenico e secondo il Ministro Italiano l’Italia è al sicuro da un eventuale contagio. L’approccio votato, forse oltremisura, all’ottimismo che i leader politici sono soliti trovare in questi grandi eventi istituzionali (forse coadiuvati dalle tartine al salmone) è dimostrato dalle parole di Pier Carlo Padoan, secondo le quali il debito italiano sarebbe sotto controllo e non in crescita…. In realtà gli ultimi dati Istat indicano un nuovo massimo storico a 2169.2 mld: altro che in fase di stabilizzazione! Così come la situazione ellenica e ben lungi dall’essere sotto controllo.

Un “semplice” default probabilmente è davvero sopportabile e, pur nel segreto che cela operazioni simili, a questa via pare si stia preparando la Germania della Merkel. Differente invece il discorso di un’uscita dall’Euro che sarebbe un “precedente” tale da dare il liberi tutti a mercati e speculatori con primi target verso Italia e Spagna. Rispetto a questa seconda via stanno prendendo contromisure nella City londinese importanti istituti finanziari, ben consci che sarebbe una situazione non indolore neppure per loro che eppure all’Europa non sono legati dalla valuta comune. Ovviamente BCE ed istituzioni, con Draghi sugli scudi, cercano di rassicurare gli animi, asserendo che l’Euro è irreversibile e che anche nel malaugurato caso di “incidente GrExit” l’UE ha raggiunto un livello di solidità tale da poterlo metabolizzare. Difficile credervi, le potenze finanziarie pronte a scagliarvisi contro sono molto più forti, la reputazione europea verrebbe asfaltata più di quanto già non lo sia e le parole successive dello stesso Governatore BCE , confermando i timori e gli scenari preoccupanti riportati sopra, paiono più realistiche:

“L’incidente ci farebbe entrare in un territorio inesplorato ed ignoto”.

Mancano poche settimane e non conviene più a nessuno protrarre oltremodo questo stillicidio. Va necessariamente trovata una soluzione definitiva, alcuni non fanno altro che attendere lo sfacelo, ma molti altri, in Grecia soprattutto, stanno lottando per la sopravvivenza e contro la povertà. A questo punto un po’ di egoismo lo si può conferire anche al comportamento dei leader greci e l’Europa da par suo non può continuare una intransigenza che è stata complice di un avvitamento perverso del malessere sociale. Le soluzioni possibili non sono molte e l’uscita della Grecia dall’Euro, a mio insignificante modo di vedere, sarebbe l’inizio della fine dell’esperimento europeo. Nonostante tutto le poche vie percorribili ed in grado di offrire qualche possibilità di esito positivo paiono bloccate da ostacoli insormontabili ed i viandanti poco determinati ad operarsi per renderle nuovamente agibili.

19/04/2015
Valentino Angeletti
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Direttrici che non portano alla crescita ed all’aumento dei livelli di benessere

La condizione economica attuale è complessa, difficile e probabilmente per la sua evoluzione, volendo considerare come punto iniziale la crisi statunitense dei mutui subprime, estesa poi nel continente europeo mutando da principalmente finanziaria a riguardante i debiti sovrani, interi Stati fino ad assumere connotazioni sistemiche, unica nella storia. Simili frasi sembrerebbero ormai retoriche per quante volte sono state ripetute. L’azione politica però non pare comprenderlo. Mai come in questo momento servirebbero visione, azione comune, focalizzazione verso gli obiettivi di ritorno al benessere collettivo, di collaborazione e di cooperazione, mettendo per un  attimo da parte lo scontro tra i partiti e tra gli interessi delle nazioni che in contesti “normali” possono essere, nei limiti del bene della Res Pubblica, accettabili. Così dovrebbe essere sia a livello europeo che nazionale. Ciò a cui stiamo assistendo su ambedue i livelli invece è un comportamento quasi diametralmente opposto, con dichiarazioni che danno il senso dell’urgenza di alcune azioni, ma fatti che smentiscono quanto detto pochi istanti prima; così è sia un Europa che in Italia.

Non mancano giorni in cui si nota che la soluzione della crisi è ancora lontana pur negli alti e bassi dell’ evoluzione di un qualsivoglia scenario. In Europa ad esempio sono prepotentemente tornati a manifestarsi il problema dell’immigrazione, dei rapporti con gli stati limitrofi, le varie crisi socio – economico – umanitarie che vanno dalla Russia alla Libia arrivando fino al centro Africa. Ancora più l’inviluppo della crisi greca che può essere ascritto ad emblema della non cooperazione politica a Bruxelles. Già si è detto che il salvataggio greco iniziale sarebbe costato ben meno del protrarre oltremodo ed inconcepibilmente uno stillicidio, peraltro senza avere un piano ben definito a priori, ma agendo all’evenienza fino ad arrivare a questi giorni, dove si sente parlare sempre più insistentemente del default, più o meno pilotato e concordato, di Atene. Il debito greco non è più onorabile dalla penisola ellenica, tale è l’opinione condivisa da tanti economisti. Molto probabile che questa evenienza, pur smentita dal Governatore Draghi, sia assai concreta. Ne parlano da mesi nella City londinese e JP-Morgan (come altri istituti) ha da tempo iniziato a proporre ai suoi clienti piani per affrontare una GrExit. La stessa Germania si sta preparando ad un default greco ma senza uscita dalla moneta unica che comporterebbe la prosecuzione di una corsa agli sportelli bancari, già comunque in corso per mantenere in Euro il proprio capitale, e forse la deflagrazione del tentativo di unione.

Modi di agire simili, anche qualora la Grecia si salvasse, confermano la totale lontananza dai concetti di Prosperità, Progresso e Protezione che dovrebbero essere alla base dell’unione, senza spingersi in sentimenti più romantici come collaborazione, spirito di appartenenza ad una stessa comunità, solidarietà e condivisione dei rischi e dei benefici.

Analogo ragionamento può essere fatto per l’Italia. Anche gli ultimi dati confermano, nonostante tassi di interesse mai bassi come ora, un prezzo del petrolio al momento ancora più che vantaggioso, mutui potenzialmente a buon mercato e prezzi delle case decisamente diminuiti, una situazione che mantiene alti livelli di complessità.

Il debito pubblico ha fatto segnare un nuovo record sfondando quota 2169 miliardi con crescenti spese centrali e spese locali in diminuzione, la disoccupazione tende a migliorare leggermente, ma attestandosi comunque a fine anno ad un inaccettabile 12.6% con aumento dei disoccupati di lungo termine, ossia coloro che più difficilmente potranno trovare impiego, magari depauperando un patrimonio d’esperienza e di conoscenze che potrebbe sicuramente ancora risultare d’utilità. Il credito in Italia rimane difficile, tra i più difficili in europa, non in grado di supportare il mercato immobiliare (affossato anche dall’incertezza normativa sulla tassazione) nè di appoggiare gli investimenti che latitano. Gli investimenti necessari in Italia sono molti e fondamentali, ovviamente dovranno essere razionali e lungimiranti, ma servono e servono sia quelli per piccole opere come la riqualificazione del territorio, delle scuole, la riconversione energetica e lo spostamento verso un modello economico più sostenibile sul quale Renzi dice di puntare con convinzione, sia quelli per grandi opere e, come i crolli nelle scuole ed i periodici disastri dovuti al maltempo sono la dimostrazione del bisogno dei primi, i grandi crolli infrastrutturali (ultimamente ponti e viadotti) fanno da testimoni della necessità dei secondi.

Nel paese invece la politica è tutta catalizzata su alcuni temi: la legge elettorale Italicum che ha comportato una profonda spaccatura nel PD e le dimissioni dell’ex capogruppo Speranza (uno dei pochi che si è dimesso per dissenso politico e non per indagini o scandali), il dissenso da parte del M5S e di FI che assieme alla minoranza DEM hanno scritto lettere separate ma dallo stesso contenuto (l’ipotesi fiducia sulla legge elettorale sarebbe un attentato alla democrazia) al presidente Mattarella; le regionali con le difficoltà del PD in Liguria, aumentate a seguito delle indagini sulla candidata Paita per i dissesti idrogeologici essendo lei all’epoca assessore competente in materia, e con quelle di FI in Puglia. Infine a non tarderanno troppo le discussioni sull’impiego del tesoretto da 1.6 mld €, potenziale goloso benefit elettorale.

Il tesoretto come già riportato (LINK) è una numero previsionale derivante da un miglioramento della stima del rapporto deficit/PIL di 0.1%. Le previsioni iniziali sul PIL 2015 del Governo erano di +0.6% e sono state aggiornate nell’ultimo DEF a 0.7% (ma sempre di previsione di tratta). L’intenzione del Governo pare quella di spendere la somma quando ha ancora fattezze virtuali. Il rischio che sì corre è che, avesse ad esempio ragione il Fondo Monetario con la sua stima di crescita riferita all’Italia portata a 0.5% (in miglioramento), il paese si troverebbe nella condizione in cui mancherebbe di 1.6 mld più 1.6 mld derivanti dalla differenza di 0.2% tra lo 0.7% stimato e lo 0.5% reale, più altri 1.6 mld dovuti alla spesa in deficit già effettuata.

Come al solito prenderò un abbaglio, ma la sensazione è che, seguendo le direttrici impostate da UE ed Italia, difficilmente si potrà impostare un percorso virtuoso per incrementare, senza sperare di tornare ai livelli precedenti, il nostro grado di benessere. Questo è un presentimento che spero vivamente provenga da uno di quei piccoli gufi che saranno a breve smentiti.

Valentino Angeletti
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Piccolo Tesoretto: catalizzatore delle energie e delle attenzioni pre elezioni regionali

TesorettoSe ne parlava da giorni e se ne continuerà a parlare a lungo, ma il DEF, documento di previsione finanziaria per il prossimo triennio, è stato approvato nel Consiglio dei Ministri di venerdì e si appresta a passare all’esame delle Camere prima ed al vaglio dell’Europa in un secondo tempo.

Come di consueto nel nostro paese le valutazioni del documento sono contrastanti a seconda dalla parte politica che si appresta ad interpretarlo ed a presentarlo all’elettorato, per il quale come al solito risulta pressoché impossibile prendere una posizione oggettiva se non andando ad informarsi presso le complicatissime ed articolate fonti ufficiali. Va premesso che nei prossimi giorni verranno avviate le prassi per la trasformazione dei decreti in attuativi e poi il vaglio della Commissione EU rappresenterà la solita forca caudina, in sostanza il DEF ancora non è un documento certo. Come detto esso si tratta di una stima previsionale basato su proiezioni che in passato spesso non si sono verificate e che hanno comportato la necessità di una seguente manovre correttiva, talvolta andando a trasformare il tanto blasonato Documento di Economia e Finanza in poco più che prestigiosa carta straccia di eccellente grammatura. Per tali ragioni non conviene ancora gettarsi in valutazioni troppo fini e dettagliate. Quello che è certo, e che ha catalizzato l’attenzione è senza dubbio la “scoperta”, sempre sulla base delle stime prese in considerazione, di un “tesoretto”. Esso deriverebbe da una miglior previsione del rapporto Deficit/PIL (leggero calo del Deficit e leggero aumento del PIL) che, assieme alla flessibilità EU comunque sempre entro i patti, ha liberato circa 0.1% di PIL, pari a 1.6 miliardi appunto.

Inevitabilmente alla parola “tesoretto” sono esplose le reazioni politiche. Per Brunetta di FI e baluardo del Berlusconismo il DEF è in deficit almeno di 16 miliardi ed il tesoretto non esiste, oppure, nel remoto caso che esistesse, è solo il provento di altre tasse. Anche per Fassina, dalle file della fronda spesso critica del Governo del PD, la manovra è recessiva, scetticismo anche tra i Sindacati, mentre per l’Esecutivo il DEF è la fine delle manovra tutte tasse.

Effettivamente, qualora si calcolasse il bonus di 80€ come sgravio e non come spesa, se si verificassero le condizioni previste dal DEF tali da disinnescare le clausole di salvaguardia su IVA e su accise, se si separassero imposte fiscali centrali da quelle locali (enti, regioni, comuni) e se fossero azzeccate (o sbagliate per difetto) le stime sui parametri economici, quelle per intenderci che libererebbero 1.6 miliardi, le tasse potrebbero anche considerarsi in diminuzione, tendenti il prossimo anno a rompere al ribasso l’impressionate quota 43%.

Riferendomi al “tesoretto ho utilizzato il condizionale proprio perché anch’esso, se non lo si fosse già capito, rappresenta al momento un entità virtuale, che si otterrà a fine anno a patto che le proiezioni che lo riguardano siano confermate e che l’Europa non imponga, viste le condizioni macroeconomiche favorevoli e la partenza del QE, un una maggior aderenza ai percorsi di rientro su Debito/PIL e Deficit/PIL, evenienza non da così astrusa per i prossimi anni.

Nonostante la natura ancora eterea degli 1.6 miliardi, ben più intangibile dei tagli che dovranno essere effettuati per scongiurare le clausole di salvaguardia (disinnescate dal DEF) e che ammontano almeno a 10 miliardi secondo il DEF derivanti da riduzione delle agevolazioni per 2.4 miliardi e taglio della spesa per 7.5 miliardi, il dibattito incandescente è su dove, o meglio a chi, destinare questi danari (che in realtà confrontando le varie previsioni si sarebbero potuti ipotizzare già qualche mese fa…. con conseguente più tranquilla definizione della destinazione, ma forse le elezioni regionali erano ancora troppo lontane nel tempo).

Senza voler cadere in pignoleria o eccessiva retorica, sicuramente sarebbe stato meglio a partire dai Governi precedenti aggredire subito la spending review attuando almeno qualche punto del piano di Cottarelli invece che tergiversare rimandando l’onere di prendersi il politico impegno di tagliare per non pestare alcuni piedi, a quest’ora le risorse libere potevano essere anche superiori. Sulla spending review (ancor prima che sulle privatizzazioni), non ci sono previsioni che tengano, l’Europa non transige: o si taglia o si tassa. Inevitabilmente però la forza della parola “tesoretto”, come lo è sempre stato in passato, unita alla vicinanza delle elezioni regionali pone le basi per un anticipo di campagna elettorale, collocando, come se già non lo fosse, il Premier Renzi sempre più in Pole Position. In valore assoluto la somma non è esagerata, soprattutto rispetto all’aumento di alcune tasse (ad esempio l’imposta sugli immobili negli ultimi anni è rincarata di oltre il 106%), ma vediamo come potrebbe essere utilizzata visto che nelle prossime settimane verrà definita la sua destinazione.

Va premesso che sia da Renzi che dai Ministri Padoan e Poletti gli indizi portano verso misure di sostegno alla “povertà”. In Italia sono definibili poveri circa 7 milioni di persone, e volendo sostenerli tutti il bonus pro capite arriverebbe a circa 20€ al mese per 12 mesi. Probabilmente la direzione sarà quella di ampliare la platea degli 80€ verso le pensioni più basse e gli incapienti, difficilmente saranno inseriti gli autonomi e le partite IVA. Volendo invece pensare a manovre ancor più “maliziosamente” elettorali sfruttando al massimo l’amplificazione mediatica conferita al “tesoretto”,   il bonus potrebbe essere rivolto ai lavori di messa in sicurezza dei territori liguri ed a sostegno degli abitanti colpiti dalle alluvioni visto la situazione in Liguria complessa per il PD in opposizione a Toti invece piuttosto forte; oppure al sostegno dello sviluppo del Mezzogiorno poiché in Puglia, nonostante l’ancora dissidente Fitto, sta paventandosi la prospettiva di una alleanza di centro destra a sostegno della Poli Bortone che vedrebbe coinvolti anche Lega di Salvini e Fratelli d’Italia (schieramento più vicino alla Bortone) di Giorgia Meloni e che potrebbe rappresentare un embrione ancora molto prematuro di un nuovo schieramento potenzialmente dalle mire governative, mentre in Campagna è il PD a dover sbrigare la questione De Luca, candidato non voluto.

Benché Renzi sia sempre fortissimo non può permettersi di perdere regioni baluardo come la Liguria, storicamente di centro sinistra, e la Puglia dell’uscente Vendola. Conoscendo l’abilità del Premier c’è da stare certi che utilizzerà nel migliore dei modi il “tesoro scovato nelle pieghe del DEF”. Bene per chi ne beneficerà, ma è evidente che non sarà nulla di strutturale e che, per far ripartire l’Italia, le energie della politica, delle istituzione, dell’informazione e dei media dovrebbero concentrarsi su ben altre priorità.

Valentino Angeletti
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Pasqua a Washington per Varoufakis e Lagarde con l’ombra del Daily Telegraph su una nuova Dracma

Non sarà certo una Pasqua tranquilla per i leader greci Tsipras e sopratutto Varoufakis, e c’è da giurare che non lo sarà neppure per la Direttrice FMI Christine Lagarde. Sugli scudi c’è ancora il braccio di ferro tra Atene e le istituzioni europee ora Brussels Group (ex Troika con l’aggiunta dell’ESM European Stability Mechanism). La vicenda, nonostante dai media nostrani sia stata messa un po’ in secondo piano rispetto alla situazione politica interna animata dalle solite tensioni nei partiti a cominciare da FI e PD in vista delle prossime regionali e dalla corsa alle limature sul DEF alla caccia dei fondamentali 10 miliardi circa per evitare le clausole di salvaguardia pronte per il prossimo anno, continua ad agitare i sonni di molti.

I vari piani di riforme proposti da Tsipras non hanno fino ad ora convinto Bruxeelles. Per la Commissione UE rimangono troppo aleatori e non precisamente quantificabili nelle entrate, si basano su stime previsionali come la lotta all’evasione, importantissima ma non valutabile ex ante con oggettiva precisione, il rientro di capitali esteri, il rilancio delle privatizzazioni, tra cui quella del Porto del Pireo, la vendita delle frequenze televisive e la reintroduzione della tassa sugli immobili. Mancano tutti gli elementi di austerità richiesti dalle istituzioni europee su pensioni, i pesanti tagli alla pubblica su amministrazioni e sanità e l’ulteriore accelerazione sulle privatizzazioni, azioni che Tsipras non può permettersi onde il venir meno alle promesse fatte in campagna elettorale che gli hanno consentito la fiducia popolare e la conseguente elezione.

Se l’Europa può dilungarsi (ma quanto realmente?) nel muro contro muro mantenendo alta la tensione nei negoziati che durano da tempo ed è prevedibile che dureranno almeno qualche altra settimana, non vale lo stesso per il FMI. L’istituto di Washington deve infatti ricevere entro il 9 aprile la tranche da 458 milioni di Euro del prestito elargito al Partenone e che non ha la minima intenzione di prorogare oltre scadenza. Analogo ragionamento si può fare per la Grecia che, nonostante le smentite governative, potrebbe già essere in crisi di liquidità. I depositi privati sono diminuiti di 30 miliardi dal novembre scorso ed hanno superato al ribasso i 150 miliardi complessivi. Alle Banche elleniche è stato precluso il QE ed ogni forma di rifinanziamento eccezion fatta per la linea d’emergenza ELA; anche l’emissione di altri titoli di stato a breve termine che hanno superato il limite dei 15 miliardi non è stato consentito dalla BCE.

Se Tsipras e Varoufakis tranquillizzano che entro il 9 verrà saldato il debito con l’FMI e verranno pagati stipendi e pensioni, le voci secondo cui sarebbero in realtà a rischio, si fanno sempre più insistenti. Le ultime provengono dal Daily Telegraph e dall’economista Piketty, che indicano la situazione greca ormai non sostenibile a lungo. Secondo il quotidiano britannico fonti attendibili riporterebbero che la Grecia stia pensando a due vie per sopportare l’onere dei rimborsi che dovranno essere erogati prossimamente e che oltre a FMI, stipendi e pensioni, si compongono anche di  250 milioni di euro d’interessi in scadenza a fine mese e dal rifinanziamento dei titoli che matureranno il 13 e 17 aprile prossimi per un totale di 2,4 miliardi di euro: non proprio una inezia quindi. Le due vie sarebbero la nazionalizzazione delle banche e l’emissione di titoli di pagamento per stipendi e pensioni in una forma differente dall’Euro.

La locuzione forma diversa dall’Euro di fatto sarebbe il ritorno ad una moneta nazionale che anche se non nominata Dracma e anche se inizialmente circolante in parallelo all’Euro costituirebbe il precedente ufficialmente sancitorio della disfatta e revocabilità della moneta unica, mai neppure ipotizzata come seria opzione da BCE ed istituzioni. La notizia, seppur, ripetiamo, smentita ufficialmente, non ha avuto il meritato risalto. L’eventualità di uno strumento di pagamento alternativo, che per come stanno le cose non pare campata del tutto in aria, sarebbe l’inizio della disgregazione europea che nessuno vuole, ma che, se le trattative ed i negoziati non si indirizzano più concretamente verso una soluzione di compromesso, rischia di diventare realtà con la conseguente esplosione dei mercati e delle devastanti manovre speculative sugli spread tali da mettere in ginocchio, con un effetto domino virale, anche altri stati a cominciare da Italia, Spagna e probabilmente anche Francia.

Alla luce di ciò l’incontro dell’8 aprile, immediatamente precedente al rimborso di Atene all’FMI, tra Putin e Tsipras può essere visto come la volontà di tessere e stringere un rapporto in vista di qualche evoluzione estrema, proprio come la reintroduzione di una valuta nazionale. Certo è, come detto da Moscovici, che Tsipras è libero e ben fa a trattare con chiunque, ma i tempi e gli scenari sono sospetti e le licenze di perforazione nell’Egeo fanno gola ad una nazione che vuole mantenere la sua egemonia energetica come la Russia, tanto più in un momento in cui la guerra dei prezzi del greggio e la trattativa di Losanna, con gli accordi in fieri sul nucleare Iraniano che potrebbero concretizzarsi comportando uno stop alle sanzioni, rischiano di far ribassare ulteriormente il prezzo del petrolio e delle commodities energetiche le quali Putin vorrebbe ben più care.

Non sarà una Pasqua facile per Varoufakis e Lagarde, ma non possono stare troppo tranquilli neppure a Bruxelles, ed è bene che seguano interessati l’evolversi della vicenda perché non è una esagerazione affermare che ne va del futuro economico e sociale di un intero continente e forse anche oltre.

04/04/2015
Valentino Angeletti
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La lotta dei dati tra Governo ed istituti di statistica

Con l’ultima serie di dati del 2014 diramati dall’Istat riguardanti lo stato economico dell’Italia, l’istituto di statistica ha aperto la manopola dell’acqua gelida sulle nude spalle del Governo proprio in un momento in cui l’Esecutivo cercava di infondere la sensazione che l’inversione del trend economico negativo fosse ormai alle porte cercando tra l’altro di supportare la tesi con elementi numerici, vale a dire dati.

Il Governo aveva enumerato in 79’000 i nuovi contratti a tempo indeterminato derivanti dai primi due mesi di decontribuzione fiscale triennale per le aziende in caso di instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato (link). Dopo poco si è poi intuito e verificato che molti di essi erano trasformazioni di partite IVA, contratti precari o determinati già in essere, in seguito si è poi fatto notare come quel numero andrebbe confrontato con le cessazioni di contratto del medesimo periodo. Da ciò il risultato è stato che in gennaio e febbraio i nuovi contratti indeterminati sono stati 79’000 le cessazioni circa 40’000, dei 39’000 rimasti le trasformazioni sono state oltre il 50% andando quindi a ridurre il numero di nuovi posti di lavoro, elemento di maggiore interesse.

Effettivamente questo è avallato dai rapporti Istat che indicano una diminuzione degli occupati ed un aumento dei disoccupati e degli inattivi cioè coloro che non sono impegnati in cerca di occupazione, nonostante siano inoccupati.

La spesa pubblica secondo Ministero delle Finanze ed Istat è aumentata, portando il rapporto deficit/PIL di nuovo al limite europeo del 3% con i rischi di vedere ridurre i margini di flessibilità applicabili all’Italia e soprattutto lo scatto delle clausole di salvaguardia su IVA ed accise che sarebbero un colpo da KO ai consumi e probabilmente anche alle entrate fiscali del governo centrale ed enti territoriali, conformemente a quanto asserito dalla teoria di Laffer e dalla sua famosa curva, mai dimostrata ma sempre verificata nei fatti come una congettura matematica. Ciò va in netta contrapposizione all’obiettivo apertamente espresso dal Governo di tagliare la spesa ed i costi centrali e locali, operazione che avrebbe consentito di evitare le temibili clausole inserite nel DEF.

Le retribuzioni medie si attestano su 20’600 € per i dipendenti e 17’650 per gli imprenditori, 16’280 per i pensionati e 35’660 per i lavoratori autonomi. I livelli sono i più bassi tra i paesi “industrializzati” con un costo della vita confrontabile. Interessante è il divario tra i dipendenti e gli imprenditori in favore dei primi rispetto ai datori, il che è probabile che indichi una forte tendenza all’evasione. Le dichiarazioni dei redditi oltre 50’000 € sono il 5% del totale mentre coloro che dichiarano oltre 300’000 € sono solo 30’000. Nonostante quindi le intenzioni di redistribuzione del reddito avanzate dall’Esecutivo, tale redistribuzione (necessaria da tempo, Link) non è ancora avvenuta, anzi pare che il divario sociale stia pericolosamente aumentando andando a tendere verso una situazione in cui i super ricchi lo diventano sempre di più mentre i poveri aumentano, diventano sempre più poveri ed includono anche ex membri della classe un tempo media ed agiata ora in via di estinzione.

La pressione fiscale è salita al 48.3% con il picco oltre il 50% a fine anno. Il numero di contribuenti è diminuito di 425’000 unità di cui 334’000 lavoratori dipendenti, al contempo anche i pensionati sono diminuiti di 168’000 unità. Ciò conferma l’aumento della disoccupazione e la diminuzione dei contribuenti fa si che coloro che pagano realmente il fisco debbano accollarsi percentuali ancora superiori al 50%. Se poi si considera che l’80% della pressione fiscale ricade su dipendenti e pensionati che hanno aliquote fisse in proporzione al reddito, mediamente basso e non eludibile, ne segue che la pressione sui piccoli artigiani, partite IVA, commercianti, autonomi, imprenditori che hanno l’onesta di onorare all’erario tutto il dovuto arriva a percentuali molto superiori al 50% fino al 68-70%. Anche in tal caso il dato è in conflitto con le dichiarazioni del Governo, secondo cui, principalmente a causa degli 80€, la pressione fiscale è sensibilmente diminuita. Per l’Istat invece gli 80€ sono ascrivibili alla spesa pubblica e non una riduzione della tassazione. Inoltre anche se il bonus Irpef fosse considerato sgravio fiscale, sarebbe limitato ad una stretta platea di contribuenti, andando ad escludere nuovamente autonomi, professionisti, artigiani che rimangono coloro i quali, se onesti, pagano di più, e pure pensionati.

Ora va detto che i dati, per tutti coloro che sono abituati in qualche modo a trattarli, e siamo la maggior parte delle visto che ci confrontiamo quotidianamente con loro, da una semplice bolletta alla costatazione dell’aumento dei prezzi nel supermercato sotto casa, sono elementi incontrovertibili, oggettivi, quasi assiomatici, indiscutibili. Vi è poi la loro interpretazione che può variare. Per fare un banalissimo esempio l’aumento del costo del caffè al bar può essere imputato alla bramosia del barista oppure si può ipotizzare che il fornitore di caffè abbia aumentato il costo della materia prima e così il barista abbia optato di preservare il proprio margine accollando l’aumento sul consumatore finale. L’oggettività del dato, ossia l’aumento di prezzo della bevanda, non è in discussione, è una costate.

Quello che invece spesso accade, come in questo caso, tra il Governo e vari istituti come Istat, camere di commercio, patronati del lavoro e via dicendo, che per mestiere forniscono dati, è che si discuta la veridicità del dato stesso o delle metodologie. Cosa incomprensibile visto che si sta parlando di istituti professionali.

A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca diceva un saggio e vista la frequenza di letture discordanti e rilevazioni presentate in modo sospettosamente parziale sembrerebbe quasi che si voglia presentare, peraltro con eccessiva faciloneria, una situazione molto migliore di quella che è nella realtà dei fatti. Mai come ora è necessario che il Governo sia chiaro con i cittadini i quali hanno già perso la fiducia nelle istituzioni e sono ormai predisposti, non proprio a torto visti i precedenti, a pensare male. L’esecutivo non può permettersi di poter essere sospettato di voler ingannare una popolazione che finora è stata la sola a dover accollarsi il peso della crisi: questi cittadini vanno rispettati e messi di fronte alla verità, bella e brutta che sia. In caso contrario la fiducia calerà ancora e non sarà più recuperabile. Detto ciò poi l’Esecutivo non può pensare che in condizioni di pressione fiscale, occupazione, evasione simili sia possibile parlare di inizio della ripresa, siamo ancora ben lontani dalla vera ripresa nonostante congiunture macroeconomiche momentanee potenzialmente molto favorevoli. Indispensabile è dunque evitare innanzi tutto le clausole di salvaguardia, lottare l’evasione e dare il via a vere politiche per il lavoro e di redistribuzione delle ricchezze. Le vie per conseguire simili obiettivi ci sono, sono note e ripetute da tempo, sono molteplici, ma tutte necessitano di quella volontà politica fino ad ora latitante e la cui assenza ha contribuito ad aggravare lo stato di crisi già di per se drammatico per quanto il corollario globale ha imposto con violenza.

 

03/04/2015
Valentino Angeletti
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