Archivi del giorno: 16 gennaio 2015

Breaking News Economy

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Bank Of China supera la soglia del 2% in Terna, lo comunica la Consob.
Lo scorso anno la Cina ha superato il 2% anche in Eni, Enel, Telecom e detiene il 35% di CdP Reti con esplicite manifestazioni di interesse per Snam e per le eventuali nuove quotazioni di aziende Energy ed Oil&Gas che il Governo si appresterà ad operare così come per Ilva (anche se ormai la Cina pare fuori gioco sull’azienda di Taranto). Le infrastrutture strategiche di Energia e Tlc interessano al Dragone così come le commodities (Oil, Gas & Rare Earth), le terre coltivabili e le banche (animeranno la stagione dei M&A italiani che si sta per aprire). Lo si evince chiaramente dalle loro strategie industriali molto aggressive ed espansive verso l’estero.

Oltre al prezzo del greggio scende anche il prezzo del Rame, il metallo più utilizzato in industria che evidenzia un rallentamento nelle attività produttive a livello mondiale. Ciò può giustificare il taglio di 0.4% del PIL mondiale operato nelle sue stime dalla Banca Mondiale che fissa la crescita globale al 3% per il 2015 (dal precedente 3.4%).

Anche Bankitalia ha tagliato la stima sul PIL 2015 italiano portandolo da +1.3% a +0.4% ed a +1.2% nel 2016 (livello che potrebbe iniziare a sortire qualche effetto sulla riduzione della disoccupazione). Secondo l’istituto permarrà anche nel 2015 lo scenario deflattivo stimato in -0,2% al quale contribuisce il prezzo del greggio ai minimi.

Il prezzo del petrolio rimane ai minimi e le prime piccole aziende che operano nel campo dello shale oil in USA iniziano a fare bancarotta, mentre le major per via del loro portfolio diversificato, riescono ancora a sopportare seppur soffrendo. Molto male anche per le aziende e gli stati come la Russia o la Norvegia che si approvvigionano in gran misura dal mare del nord ed off-shore ove la difficoltà delle condizioni operative rende le estrazioni molto onerose e non coperte dagli attuali prezzi dell’ “oro nero”. BP ha annunciato il taglio di 300 dipendenti in alcune piattaforme Off-Shore del Mare del Nord. Al momento l’offerta petrolifera riesce a sopperire alla domanda bassa per il rallentamento mondiale, la riduzione in atto degli investimenti in operation ed R&D da parte delle major oil&gas può comportare una riduzione nella produzione di lungo periodo con possibile incapacità di sopperire alla domanda una volta che sarà risalita: potrebbe essere la scintilla che da il via ad un più determinato sgancio dell’economia dal petrolio verso altre fonti (elettrico, gas, ngl ecc).
Attenzione però a non fare stime economiche sulle attuali quotazioni del greggio perché non sono destinate a durare.

(per la questione rapporto Franco – Euro leggere link:
Sgancio Franco-Euro: effetti noti ed una perversa opportunità per pochi )

Passo e chiudo++++++

16/01/2015
Valentino Angeletti
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Sgancio Franco-Euro: effetti noti ed una perversa opportunità per pochi

IT-CHImpressionante non tanto per il merito della decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS), che prima o poi avrebbe dovuto prendere come del resto la BCE rispetto ai QE ai quali la misura della BNS è legata a doppio giro, quanto per una rapidità che la Banca Centrale Europea non si sogna neppur nella fase più profonda del suo dolce dormire spesso disturbata com’è dal dover corrispondere interessi su furbeschi depositi overnight. Certo le differenze tra i due istituti sono fondamentali, la BCE agisce a livello europeo e per ogni decisione deve riunire una Board composta da rappresentanti dei singoli stati membri, i suoi azionisti sono le singole banche centrali in proporzione alla loro forza risulta così che la Germania ne è il principale contribuente, le decisioni sono prese previa votazione a maggioranza del Direttivo ed evidentemente non è possibile pensare, benché la BCE sia un entità neutrale, ad una completa scissione tra interessi nazionali ed interessi comunitari. L’Istituto Centrale elvetico invece è nazionale e quindi l’atto di prendere una decisione, seppur delicata, risulta meno arduo a tutto vantaggio della velocità d’azione.

Il fatto a cui ci riferiamo è evidentemente la decisione della BNS di abolire il tasso di cambio minimo fissato alla fine del 2011, epoca della tempesta degli spread, ad 1.20 Franchi per 1 Euro onde evitare un eccessivo apprezzamento della moneta elvetica. Il provvedimento monetario ha colto inaspettati un po’ tutti ed ha suscitato sgomento anche presso il FMI che lo ha definito, per bocca della stessa Governatrice Lagarde “inatteso”, un fulmine a ciel sereno insomma. Il tasso di cambio Euro/Franco nel giro di pochi minuti ha toccato il livello di 0.85 con un calo di circa il 30% per assestarsi in serata tra 1.04 ed 1.02 la volatilità di una giornata simile è stata altissima e considerando le oscillazioni in discesa e risalita si sono avuti scostamenti del 50%. Alla borsa di Zurigo si è scatenato il panico con un calo del 13% dell’indice che a fine giornata si è ridimensionato facendo segnare un pur sempre enorme -8%; positive invece le altre piazze europee.

Le motivazioni che hanno portato alla decisione risoluta e perfettamente in stile svizzero senza fronzoli e con pochi giri di parole, sono state sostanzialmente tre, dice un portavoce della BNS. La prima è la svalutazione dell’Euro nei confronti del Dollaro che avrebbe indebolito eccessivamente il Franco, la seconda il timore dell’esito delle elezioni greche (che può essere parafrasato come paure e dubbi sulla stabilità dell’Unione Europea), la terza (e più importante) gli imminenti QE della BCE che evidentemente da Berna danno per certi già da giovedì 22 gennaio (si disse che i mercati hanno già scontato questa ipotesi nonostante le probabilissime oscillazioni speculative che vi saranno in seguito all’annuncio ufficiale). Proprio per il 22 gennaio è prevista la decisione da parte della BNS sulla possibilità di portare gli interessi sui depositi bancari a -0.75% a testimonianza di come la BNS si muova perfettamente in reazione rispetto alla BCE. Un acquisto massivo di bond da parte di Francoforte comporterebbe un’ulteriore svalutazione dell’Euro in una fase in cui Berna ha da tempo iniziato ad accumulare riserve valutarie in Euro che in caso di deprezzamento della moneta unica subirebbero un deciso deprezzamento. Queste sono le ragioni che hanno spinto la mossa dell’istituto centrale elvetico, azione che proprio per la terza motivazione addotta era comunque prevedibile nel medio-lungo periodo.

Le immediate conseguenze dello sgancio del Franco dall’Euro, che si possono ampiamente leggere in varie testa giornalistiche tra cui Stampa ed Sole24Ore, vanno viste con gli occhi di due osservatori antitetici, la Svizzera e gli altri paesi.

Lato svizzero le preoccupazioni sono elevatissime, infatti la possibilità di un’impennata dell’inflazione esiste concretamente, le aziende che esportano ricevendo pagamenti in valuta estera, e sono la stragrande maggioranza visto che la Confederazione esporta gran parte delle sue produzioni principalmente verso il mercato nord americano ed Europeo (circa il 60%), si vedono penalizzate così come il settore del turismo, infatti con un Franco per uno straniero la vacanza nelle amene città Alpine elvetiche diventa sempre meno appetibile esattamente alla stregua del famoso pieno di benzina oltre confine. I settori maggiormente colpiti sarebbero quello del cioccolato, del lusso ad iniziare dall’orologeria e dei prodotti ad altissimo valore aggiunto e R&D come la farmaceutica (le più grandi case mondiali dalla Merck Serono alla Novartis hanno sede proprio in Svizzera, così come la multinazionale dell’alimentare Nestlè). L’amministratore della Swatch, Nick Hayek, non ha esitato a definire uno “Tsunami” il provvedimento ed anche da UBS provengono dichiarazioni critiche che mettono in guardia (in modo piuttosto scontato) da una volatilità che rimarrà altissima nel breve periodo. La Lindt & Sprüngli (i famosissimi “Maître chocolatier suisse depuis 1845“) ha annunciato che si vede costretta a concentrare la produzione nei 15 stabilimenti esteri. Il Casinò di Campione, che incassa per l’80% in Euro pagando invece in Franchi, avrebbe visto lievitare i costi annuali di 20 milioni. Anche la capacità Svizzera nell’attrarre investimenti esteri, come ospitare intere aziende (ed in italia conosciamo bene il fenomeno), dovuta al regime fiscale, alla semplicità e chiarezza burocratica, alle agevolazioni ed in generale alla grande organizzazione e precisione elvetica, ne esce indubbiamente depotenziata.

Fuori dalla Svizzera si ha l’effetto inverso, le aziende saranno facilitate nelle esportazioni verso la Confederazione, il settore turismo/commercio si augura di contare nuovamente su un afflusso di visitatori elvetici che possono risparmiare muovendosi fuori confine, i frontalieri e tutti coloro che sono pagati in franchi ma vivono in italia/stati confinanti (o devono convertire in Euro) gioiscono per l’inaspettato ed ingente rafforzamento delle loro buste paga.

La mossa della BNS arriva in un momento decisamente particolare per i rapporti bilaterali Italia Svizzera, dopo tre anni di trattativa è stato raggiunto l’accordo fiscale che facilita l’adesione alla “voluntary disclosure” la quale consente fino a settembre agli italiani detentori di capitali in svizzera di mettersi in regola. La firma dell’accordo avverrà a febbraio e l’adesione volontaria comporta uno sconto sulle sanzioni e sui tempi di accertamento, che in condizioni a regime raddoppieranno per quei paesi inseriti in Black List dal fisco; la Svizzera viene dunque trattata come se fosse un paese fuori dalla Lista Nera. Inoltre lo scambio di informazioni fiscali (che non potrà essere finalizzato ad accertamenti retroattivi), inclusi singoli contribuenti, tra Svizzera ed Italia potrà avvenire anche previa richiesta dell’Agenzia delle Entrate italiana e non solamente in modo automatico come prevede un accordo in corso di trattativa con l’Unione Europea al quale Berna si adeguerà. La Svizzera uscirà ufficialmente dalla Black List al momento della ratifica ufficiale dell’accordo fiscale con Italia nel 2017, ma all’atto pratico dopo la firma sulla “Voluntary Disclosure“sarà trattata come se fosse in White List già a partire da inizio marzo.

Mi sorge spontaneo sollevare una questione tanto fantasiosa quanto maliziosa e capziosa. Gli evasori fiscali italiani che detengono patrimonio in Svizzera sono molti (per l’Italia la Svizzera rappresenta il paradiso fiscale più fruito) e palese è poi la ritrosia Svizzera, e le tempistiche per giungere agli accordi di scambio dati automatico con l’UE e alla volutary disclosure con l’Italia ne danno evidenza, nell’accettare criteri di trasparenza poiché quello dei depositi bancari provenienti dall’estero grazie al segreto bancario è un terreno gelosamente e fruttuosamente coltivato sia dagli istituti che dalla stessa Confederazione elvetica. Sappiamo anche che in occasione dello scudo fiscale, decisamente vantaggioso per gli evasori, schiere di professionisti di diritto fiscale, fior fior di consulenti finanziari e commercialisti, quando non le stesse banche, proponessero ai loro clienti una gran varietà di metodologie per ridurre ulteriormente il dovuto al fisco italiano mantenendo comunque gran parte del capitale oltre confine. Detto ciò, non è forse pensabile che proprio in vista dei venturi accordi sulla trasparenza, che potrebbero far propendere un contribuente italiano a regolarizzarsi nel nostro paese grazie all’alleggerimento delle sanzioni, gli svizzeri abbiano offerto una ricompensa a questa vasta schiera di persone?

Conoscendo quanto sarebbe avvenuto di lì a poco ad opera della BNS e giocando con i cambi, il meccanismo non è certo difficile. Lo sgancio Fraco-Euro è avvenuto inaspettatamente, ma in finanza le fughe di notizie sono un dato di fatto ed in genere ad attingerne in anticipo (bastano poche decine di minuti) sono i grandi investitori, banche ed istituti che godono di canali privilegiati. Costoro avrebbero potuto offrire ai loro clienti evasori (italiani e non solo, per carità, non si fa certo una questione di nazionalità, ma gli accordi con il nostro paese rendono la situazione un po’ più sospetta) la possibilità di guadagni dal 30 al 50% del capitale nel giro di pochi minuti, da impiegarsi eventualmente anche per il pagamento della mini-sanzione finalizzata all’immediata regolarizzazione in Italia, con la contropartita della certezza che costoro avrebbero mantenuto in presso quegli stessi istituti il proprio denaro (le somme in gioco sono ingentissime, ad esempio i Riva dell’Ilva avevano, ed hanno tuttora, patrimoni in Svizzera scudati e bloccati oltralpe e come loro tanti altri grandi nomi dell’Industria, della finanza, dello spettacolo e dello sport).

Vista la prossimità temporale dei due eventi, la rapidità fulminea con cui ha agito la BNS, la strenua protezione del segreto bancario sempre portata avanti dalla Svizzera, i precedenti in cui sono emerse avanzate consulenze atte a minimizzare le perdite dei detentori di patrimoni oltralpe e che “pecunia non olet” men che meno per chi non ha remore a evadere, sicuramente errando in modo clamoroso non mi son potuto trattenere dal partorire questo pensiero che ovviamente è pura fantasia, non v’è motivo di indignarsi.

15/01/2015
Valentino Angeletti
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