Archivi del giorno: 2 marzo 2014

Capacity Payment e Sorgenia: argomenti da scindere

Oggetto di molti articoli accusatori è stato il meccanismo di “capacity payment” con il quale lo Stato remunera per un totale di circa 150 milioni di € la disponibilità di alcune centrali termiche ad entrare in produzione, qualora ce ne fosse il bisogno. Le critiche sono principalmente rivolte agli incentivi, tacciati di aiuto di Stato, per Sorgenia, azienda che negli anni 2000 decise di puntare tutto sulle tecnologie a gas, in particolare a ciclo combinato, facente parte del gruppo CIR dell’Ing. De Benedetti e dell’austriaca Verbund. Le condizioni patrimoniali della società sono oggettivamente difficili, un debito, record per le dimensioni dell’azienda, di 1.9 miliardi di € dei quali 432 milioni relativi al Q3 2013. Nel caso Sorgenia entrerebbero poi meccanismi di giochi di potere che non vogliamo, né possiamo, per mancanza di elementi oggettivi, approfondire, si rimanda gli interessati all’articolo di Rizzo e Massaro sul Corriere della Sera.

Questa nota vuole mettere in luce alcuni aspetti del capacity payment sul quale non si deve generalizzare ed estrapolare dal caso Sorgenia.

La remunerazione della capacità è un meccanismo che consente di mantenere pronte e “calde” alcune centrali termoelettriche che in caso di emergenza possono entrare in produzione immediatamente, nonostante in condizioni normali siano fuori mercato, principalmente a causa della presenza massiva di rinnovabili (FER). Questa situazione richiede ovviamente costi di operation and manteinance per mantenerle funzionanti e sicure molto alti senza garanzia di rientro dal normale mercato; proprio a coprire tali costi serve il contributo statale. Il tutto può essere visto come spesa per la sicurezza nazionale poiché l’energia è un elemento la cui assenza potrebbe minacciare la sicurezza del paese: in gergo, si tratta di un bene strategico.

Le FER, su cui è giusto puntare, negli ultimi anni hanno proliferato, godendo nel nostro paese di incentivi enormi (svariati miliardi all’anno, ed il piano dell’ ex Ministro Zanonato per spalmarli su un periodo di tempo maggiore fino ad eliminarli non pare essere andato in porto), anche dopo che il mercato è abbondantemente arrivato a maturazione ed in certi casi dando copertura a grosse speculazioni. Inoltre le FER allo stato attuale della tecnologia non sono prevedibili e programmabili con precisione, come invece lo sono le energie convenzionali, non rendendo possibile dunque impostare precisi piani di produzione (si investe molto in storage ed algoritmi di forecasting, anch’essi retribuiti dallo Stato, per ovviare a queste imprecisioni, ma ad oggi la deficienza non è colmata). Il fatto di avere centrali pronte ad attivarsi in caso di emergenza negli anni scorsi ha salvato l’Italia da problemi di approvvigionamento energetico, in particolare durante le crisi tra Russia ed Ucraina, situazione che ora si sta ripresentando drammaticamente ed in modo assai più grave.

Da ricordare poi che gli anni dal 2008 in avanti sono stati molto negativi per il settore elettrico a causa di drastici cali dei consumi che in Italia hanno toccato i valori di decine di anni fa, in aggiunta le aziende produttrici sono state tassate ulteriormente con l’inserimento della Roobin Hood Tax totalmente a carico dei produttori che vale, per le aziende più grandi come Enel ed Eni, svariate centinaia di milioni di Euro annui. Questo contesto ha evidentemente ridotto in modo importante la competitività in Europa e nel mondo delle aziende elettriche operanti nel nostro paese ed ha comportato l’impossibilità di poter provare ad agire sul prezzo dell’energia che appesantisce le nostre industrie anche per via della tassazione e delle accise mai in diminuzione. Proprio per tali ragioni colossi mondiali come la tedesca E.On sta dismettendo gli impianti nel nostro paese con la prospettiva di andarsene definitivamente creando non pochi problemi all’occupazione di zone spesso già in difficoltà come la Sardegna e gravando sulla collettività ricorrendo agli ammortizzatori sociali; altre aziende invece hanno deciso di non ricorrere all’aiuto pubblico ed a contratti di solidarietà pagando in gran parte di tasca propria questa situazione, poiché nulla vieterebbe di chiudere le vecchie e poco remunerative centrali (principalmente ad olio combustibile, ma anche a gas) costantemente fuori mercato, gravando così sulla spesa pubblica e rischiando di rendere precaria la fornitura energetica in condizioni particolari (basterebbe un giorno di Black-Out totale per perdere quanto destinato al capacity payment).

Questo scenario ha permesso, non senza difficoltà oggettive che permangono, di sopravvivere alle sole aziende che hanno saputo diversificare e puntare su un vasto portfolio, sia tecnologico che geografico, cosa che Sorgenia, stando a quanto si legge, non ha fatto, scommettendo tutto sulla tecnologia, all’epoca molto promettente, del turbo gas.

Quanto detto non vuole nascondere un problema innegabile, che è quello dell’assenza di un piano energetico di lungo termine, che tenga conto delle mutate condizioni al contorno e del variare delle abitudini e dei consumi di aziende e consumatori e che dovrà puntare sull’innovazione, sull’efficienza energetica, sull’ottimizzazione degli impianti convenzionali grazie all’uso delle nuova tecnologie, sulla riduzione delle perdite di trasporto e distribuzione, sulla sostenibilità, sullo studio di un nuovo mix produttivo che ottimizzi l’uso combinato di FER e convenzionali e dovrà necessariamente aumentare gli investimenti in tali settori (il 3% destinato ad innovazione e ricerca sarebbe una buona percentuale, senza considerare i colossi come Apple, IBM, Google che investono oltre il doppio). Al contempo però non è neppure pensabile che la dismissione di vecchi impianti, la bonifica dei siti, l’onere di reimpiego dei lavoratori debba essere completamente a carico delle aziende. Fondi e contributi statali ed europei dovrebbero essere allocati ed il loro impiego costantemente monitorato proprio per la ridefinizione del piano energetico nazionale ed europeo convergendo verso un mercato unico e competitivo e la riconversione, andando incontro alle mutate esigenze, del parco produttivo attuale ricade a pieno titolo in questo contesto.

Va sottolineato infine che in Germania, oltre ad essere state incentivate le rinnovabili in modo forse più sostenibile, sussiste tutt’ora il capacity payment per gli impianti termoelettrici e questo potrebbe essere uno dei motivi perché aziende come la E.On, ma anche produttori non tedeschi, abbandonano il nostro paese o preferiscono la Germania, ove trovano migliori e più competitive condizioni per fare business e creare indotto nel paese ospitante.

Facendo la debita analisi costi-benefici, convenendo che tale meccanismo non deve essere un aiuto di stato (soldi pubblici devono sempre essere controllati) o, peggio, copertura per clientelismi partitici o personali, rammentando che milioni di euro sono annualmente destinati a fiere paesane, ad enti o municipalizzate senza utilità e non assoggettate a stretti controlli (prendere il caso del Salva Roma), ricordando che gli incentivi alle rinnovabili costano svariati miliardi di Euro nonostante il mercato sia ormai maturo, che vi siano state bolle speculative evidenti, che i costi di sistema, tra cui gli incentivi alle FER di cui sopra, sono la principale voce della bolletta energetica il cui ammontare è fattore ostante per la competitività delle aziende italiane, che la certezza delle fornitura elettrica deve essere certa sempre ed in ogni condizione, un contributo per il capacity payment in modo da garantire la sicurezza nazionale non sembra affatto una eresia.

02/03/2014
Valentino Angeletti
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