Archivi del giorno: 6 marzo 2014

Bacchettate Europee: una dura sfida

Bacchettate dall’Europa all’Italia, titolano molti giornali. Effettivamente i richiami al nostro paese proferiti da Olli Rehn sono pesanti ed insistenti, ma ciò non implica che siano fuori luogo. Le premesse al breve ragionamento che affronteremo sono due, la prima ed ovvia è che il Governo Renzi è sostanzialmente incolpevole per questi richiami vista la sua giovinezza, la seconda, ancora più ovvia, è che al doveroso e profondo “mea culpa” che deve fare l’Italia, o meglio la linea politica che i governi passati hanno deciso di intraprendere, si deve affiancare un altrettanto profondo “mea culpa” dell’Unione, che, dopo aver deciso di adottare fin dall’inizio un approccio ferreo, austero e dalla dubbia efficacia in periodi di forte recessione, ha perseverato non modificando la propria impostazione e rimanendo assoggettata alle richieste ed alle linee di azione tedesche principalmente, ma in generale di tutto il virtuoso nord Europa che in ultimo ha iniziato pian piano a saggiare qualche segnale di crisi. Ciò detto la situazione del nostro paese è difficilissima, il PIL è tornato ai livelli del 2000 segnando nel 2012 -2.4% e nel 2013 -1.9% contro una previsione di -1.7%. Il debito pubblico ha raggiunto il record senza precedenti del 132.6%, la disoccupazione tra il 42 ed il 43% e quella giovanile oltre il 12 e punta al 13 nell’anno in corso, con picchi rispettivamente di oltre il 50% ed il 25% a seconda delle regioni geografiche e del genere (le donne del sud sono le più svantaggiate). Numero spaventosamente da record è anche quello delle aziende che ogni anno falliscono. Vero è che lo spread è attualmente sotto 180 pti base, ma i meccanismi che regolano la finanza, nel bene e nel male sono solo marginalmente legati alla realtà economica e politica. La stabilità di un paese affinché i mercati siano positivi è necessaria ma non sufficiente quindi, è corretto compiacersi di un basso spread (in ogni caso poco più alto di quello spagnolo) e quindi di minori interessi, ma non può essere l’unico parametro (i mercati e la finanza sono in un periodo particolare: Link).

A fronte di dati macroeconomici paurosi non sono state prese le contromisure necessarie in grado di apportare qualche risultato immediato e soprattutto indirizzare il futuro verso una rotta più promettente, ma l’inviluppamento ha continuato e probabilmente continuerà ancora perché il tempo, ed in tal caso il ritardo accumulato, è un fattore imprescindibile e non recuperabile. I consumi sono costantemente in calo, il potere d’acquisto anche, la sofferenza delle famiglie, così come il numero di indigenti che rinunciano a cure mediche e risparmiano sull’alimentazione in continuo aumento. L’occupazione non ha subito miglioramenti, la burocrazia non è stata ridotta , l’evasione rappresenta un pesantissimo fardello e la pressione fiscale sul lavoro e sulle persone è superiore a quella degli stati nordici, ove il livello dei servizi ed il welfare è eccelso. Ogni necessità di copertura più o meno imprevista come la CIG (che dovrà essere ripensata affinché sia sostenibile), la scuola, la ricerca ecc hanno necessitato di coperture non presenti, tanto da ricorrere alle solite clausole di salvaguardia, come accise o aumenti su bollette. La spesa pubblica è elevatissima e non è stata ridotta nonostante i tentativi dichiarati. La strategia di alcune aziende in difficoltà è stata quella di competere sui prezzi tagliando stipendi o addirittura licenziando e ricorrendo gli ammortizzatori sociali andando così ad alimentare un circolo vizioso, preludio di deflazione della quale in contesti europei non si ha più così paura di parlare, anche se solo in termini “spettro” (Link Elettrolux).

I privilegi sono stati intaccati minimamente e la ridistribuzione della ricchezza non è avvenuta, anzi l’indici GINI continua a crescere, facendo dell’Italia uno dei paesi più diseguali in assoluto (dietro solo ad Usa ed UK) e dove il 10% della popolazione detiene il 49% della ricchezza complessiva che ammonta a circa 8’000 miliardi di Euro.

Le riforme, anche quelle più storicamente urgenti non sono state fatte e si sono trascinate, col rischio che in ultimo, agendo di fretta, si abbozzino soluzioni posticce. La tassazione non è stata spostata dal lavoro, dalle persone e dalle imprese verso i consumi ed i patrimoni, come richiesto da Bruxelles. Non siamo in grado di impiegare i fondi strutturali europei, siamo primi per procedure di infrazione, le PA non riescono a pagare tempestivamente i propri debiti, non abbiamo presentato in tempo il piano di spending review che dovrebbe essere quasi una panacea di tutti i mali e pare infine che anche l’ EXPO2015 sia in ritardo e necessiti di ulteriori fondi. Inevitabilmente tali fattori contribuiscono a far si che a Bruxelles preferiscano prendere con le molle ogni nostro proposito.

La competitività delle aziende italiane, principalmente per il costo del lavoro e dell’energia è in fondo alla classifica europea così come quella dell’innovazione essendo assenti investimenti proprio per mancanza di liquidità nelle imprese ed il poco credito che le banche concedono va a coprire le spese correnti. L’unico settore che va mediamente bene sono le esportazioni, ma non riusciamo ancora a sfruttare tutto il potenziale in termini ad esempio di turismo, arte, made in Italy, lusso, manifattura di precisione e via dicendo.

Gli ultimi Governi non possono essere esenti da colpe, non hanno saputo apportare soluzioni, anche politicamente forti ed in contrasto con alcuni partiti, privilegiando soluzioni estemporanee ed i cui effetti sarebbero svaniti quasi immediatamente. Lo stesso dicasi per i rapporti di forza che, si prenda ad esempio il caso IMU, sono stati animati più da attriti ed interessi particolari che da cooperazione per il bene del paese. Va poi sottolineato che molto dell’impegno degli Esecutivi è stato rivolto, ed in tal senso siamo stati virtuosi, a rispettare i parametri ed i vincoli imposti dall’Europa, ma precedentemente votati dagli scorsi Governi, senza cercare di rinegoziarli almeno un minimo, anche solo in termini di più tempo. Del resto non sarebbe stato semplice poiché la risposta sarebbe probabilmente stata di agire e riformare internamente e solo dopo pensare a qualche concessione.

Ieri dunque l’Europa, a dire il vero senza sorprese, ha ribadito la lentezza italiana nell’attuare le riforme e l’eccessivo squilibrio tra debito ai massimi storici e crescita del PIL ai minimi dal 2000. In questa classifica siamo ultimi assieme a Croazia e Slovenia che sono new entry in Europa e non certo un membro fondatore come invece lo è il nostro paese. Come se non bastasse la legge di stabilità per il 2014 non è stata ritenuta sufficiente. Moniti sono stati rivolti anche a Germania per l’eccessivo surplus commerciale (+6%) indice che i consumi interni sono troppo bassi rispetto alle esportazioni ed alla Francia, che vive una situazione economico e politica non semplice (forte ascesa degli anti-europeisti di Le Pen), ma con un debito ed una situazione generale pre crisi molto migliore della nostra. Hanno passato l’esame, applicando le riforme suggerite, la Grecia, il Portogallo (commissariate dalla Troika) e la Spagna (El Pais ha titolato che la nuova malata d’Europa e l’Italia); sinceramente non so quanto convenga essere promossi ma aver vissuto e vivere contesti sociali come Grecia e Portogallo dove gli stipendi e le pensioni sono state decurtate pesantemente e la gente ha già oltrepassato l’orlo della fame.

Oltre alla legge elettorale ed alle scuole il vero compito del Governo Renzi sarà quello di lavorare tantissimo in Europa, dimostrare di essere in grado di recepire le loro linee guida in modo rapido ed incisivo prendendo decisioni politiche e non di compromesso, accollandosi il rischio di scontentare qualche fazione, stringersi al PSE ed in particolare all’SPD di Schulz in modo da poter esercitare pressioni anche sulla Germania che forse sono ancora più pesanti che quelle dirette a Bruxelles. Per fare ciò deve impegnarsi di fino e sottilmente, intessere importanti rapporti oltralpe, rinnovare radicalmente la classe dirigente, innestando, a fianco dei competenti e di coloro che hanno lavorato bene, persone provenienti dalla società civile e da ogni estrazione sociale, in modo da dare il segnale che la meritocrazia esiste, ricreare i sogni e le ambizioni delle persone ormai disilluse, ricreare il concetto del self made man e di scalata sociale che è colei che anima, assieme ad una leggera disuguaglianza, la crescita. Dovrà sfruttare e convogliare quell’energia e quelle potenzialità presenti in tanti giovani e meno giovani di cui il nostro paese è pieno (si veda il nuovo CFO di Apple o il consigliere do Obama).

Il compito non è facile e nessuno fino ad ora è riuscito ha svolgerlo degnamente o perché interessato al mantenimento dello status quo o perché impotente di fronte ad un meccanismo ingessato e protezionista nei confronti delle proprie posizioni privilegiate, ma è l’unica via affinché si possa pensare seriamente di uscire dal mix di congiunture più o meno storiche che ci hanno confinato in una situazione sempre più compromessa ed alla quale non solo non siamo venuti a capo, ma non abbiamo neppure pensato ad un piano per affrontarla concretamente.

06/03/2014
Valentino Angeletti
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