Renzi, Moretti, risultati, meritocrazia e stipendi
Dopo le indiscrezioni sul possibile tetto (peraltro già previsto da Monti) a circa 258 mila € l’anno (lo stipendio del Presidente della Repubblica) agli stipendi dei manager pubblici presente nel piano di spending review ed avvallata da Renzi, l’AD di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti, ex sindacalista CGIL, si è lasciato sfuggire alcune dichiarazioni di certo poco delicate.
Il manager ha paragonato il suo stipendio con quelli dei “colleghi” tedeschi o svizzeri che percepiscono somme superiori e superiori anche ai rispettivi capi di stato, minacciando di andarsene qualora la decurtazione avvenisse realmente e mettendo in guardia dal fatto che il mercato assorbirebbe un gran numero di manager ora pubblici.
Dopo poco i toni tra Renzi e Moretti si sono abbassati, il primo ha dichiarato che dopo aver visionato il provvedimento lo stesso Moretti lo avrebbe condiviso, mentre Moretti si è detto fiducioso nei confronti del Premier.
Mauro Moretti avrebbe dovuto temporeggiare (e per un buon manager parlare al momento giusto, coi giusti toni e supportato da dati oggettivi è una caratteristica imprescindibile per coprire tale ruolo), poiché è assai probabile che se il provvedimento entrasse davvero in vigore varrebbe solo per organi ministeriali e governativi, per le aziende totalmente a controllo pubblico e che non emettono obbligazioni societarie, dunque le Ferrovie ne rimarrebbero fuori; inoltre avrebbe dovuto ponderare che il mercato libero è molto meno tutelante e senza un curriculum pieno di ottimi risultati il solo nome non basterebbe a garantire posizione e stipendio, condizioni ancora più selettive vi sarebbero all’estero.
L’AD di FS ha considerato poi solo i casi a lui favorevoli, ma ve ne sono altri che potrebbero essere presi come esempio inverso, ad esempio lo stipendio dell’AD di BP è circa un quarto di quello dell’ENI.
Se è vero che all’estero esistono vari esempi di aziende statali o in cui lo stato è maggiore azionista ove gli stipendi sono superiori a quelli Italiani e ciò non rappresenta uno scandalo, è anche vero che mediamente i servizi sono migliori e anche gli stipendi dei “semplici” operai o impiegati sono nettamente più alti; il ragionamento quindi va portato ad un altro livello.
Come ogni generalizzazione imporre tetti agli stipendi dei Top Manager forse non è corretto ed andrebbe ad equiparare mansioni che non hanno lo stesso livello di importanza, in sostanza diverrebbe lo stipendio di tutti i manager. Non è però neppure pensabile a stipendi e buonuscite milionarie a prescindere dallo scenario circostante, così come andrebbe affrontato diversamente il tema della tassazione delle retribuzioni di centinaia di migliaia di euro, anche elargite parzialmente dallo Stato, in tempi di crisi e recessione, quando le disuguaglianze aumentano.
Lo stipendio dei Top Manager (che spesso è frutto della decisione di un’assemblea sulle remunerazioni ove partecipano più figure provenienti da mondi eterogenei) dovrebbe essere collegato ai seguenti fattori:
- i risultati portati ed il merito;
- la condizione economica del paese ove operano ed il cui governo, quindi i contribuenti, contribuisce ad elargire parte dei loro emolumenti;
- il moltiplicatore rispetto allo stipendio medio dei dipendenti dell’azienda che dirigono, che non può essere abnorme;
- il manager deve essere responsabilizzato, ed in caso di insuccesso deve poter essere licenziato senza buonuscita milionaria.
Seguendo questi criteri, se un Top Manager porta avanti una azienda nel migliore dei modi, crea valore per gli stakeholders (che possono essere gli azionisti, i cittadini che godono di un servizio impeccabile, lo Stato ecc), è rispettoso delle leggi e della società, opera in trasparenza e corrisponde ai propri lavoratori il giusto compenso allora uno stipendio milionario può anche essere giustificato.
Lo stesso vale ad esempio per le nomine dei dirigenti e degli amministratori per quelle realtà ove lo Stato interviene. Lo Stato non deve agire basandosi sull’età o sul numero dei mandati, ma deve valutare i risultati passati, la reputazione che questa azienda ha nelle piazze internazionali, le strategie future e cosa possono offrire ai lavoratori, agli eventuali azionisti, allo sviluppo ed al sostegno del paese in termini di fornitura di un servizio di qualità e di creazione di lavoro ed indotto, quindi in termini di PIL, il rispetto per la sostenibilità, la CSR ed i codici comportamentali, infine deve valutare se il ciclo in essere può essere interrotto senza distruggere valore, vale a dire senza bloccare processi pressoché irreversibili già avviati e non interrompibili senza conseguenze.
Solo alla luce di queste analisi potrà essere presa una decisione coerente. Giustamente la creazione di una nuova classe dirigente e manageriale in grado di condurre in futuro le grandi aziende è un problema che in Italia non si può non affrontare ed in tal senso lo Stato potrebbe proporre di affiancare ai Top Manager delle sue aziende dei giovani da formare in modo che si realizzi quel processo di collaborazione e contaminazione generazionale che, affiancando l’esperienza e la capacità di prendere decisioni complesse dei migliori veterani alla freschezza, flessibilità e tendenza all’innovazione dei giovani, è in grado di partorire coloro che potranno davvero guidare il paese senza temere l’inesperienza. Questo meccanismo però si basa in modo totale sul principio di meritocrazia dove solo il merito rappresenta il fattore determinante nel decidere se ad una persona si debbano attribuire o confermare incarichi di cruciale responsabilità ed estrema delicatezza.
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21/03/2014
Valentino Angeletti
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Giornata mondiale dell’acqua
Domani è la giornata mondiale dell’acqua. Un bene preziosissimo al quale nessuno degli oltre 6.5 miliardi di persone (tendenti ai 9 miliardi) può rinunciare. Questa è la ragione per la quale si sta già consumando la guerra dell’acqua, un business che per quanto è sicuro fa gola a molti. Oggi questo conflitto avviene in modo ancora relativamente silente, ma che rischia di avere un impatto enorme sulle nostre vite e soprattutto su quelle delle popoli che vivono in territori a bassa disponibilità di questo prezioso bene.
Va assolutamente evitato che per l’acqua si scatenino tensioni e conflitti sociali, geo-politici ed economici come avviene per altre materie prime.
L’acqua ed il cibo non sono una materie prime, ma un diritti, come la vita.
21/03/2014
Valentino Angeletti
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