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La Russia fortifica la sua egemonia spostandosi ad est. L’europa deve reagire…

Mosca-Astana-MinskPiuttosto sotto silenzio è passato nei giorni scorsi l’accordo commerciale per la  creazione del quarto mercato mondiale siglato tra Russia, Bielorussia e Kazakistan.  Questa firma segue a ruota l’accordo da 400 miliardi di $ per la fornitura trentennale  di gas da parte della Russia alla Cina; gas, tra l’altro,  pagato a prezzo, a detta degli  esperti, abbastanza elevato, segno di un forte interessamento cinese verso la  sicurezza energetica e verso un combustibile meno inquinante rispetto al carbone. Le  emissioni inquinanti nelle grandi città cinesi non sono più sostenibili e stanno  diventando un grandissimo rischio, per la salute e per l’economia, che la Cina non può  più ignorare o nascondere.

Il patto tra la Russia, la Bielorussia ed il Kazakistan, chiamato Eurasiatico ma che di  Europeo ha ben poco, segna in modo abbastanza chiaro la volontà russa di fortificarsi  verso oriente probabilmente per far fronte da un lato al TTIP (Transatlantic Trade  and Investment Partnership) tra USA ed EU, che al momento rimane ancora arenato ma la cui importanza per le due economie coinvolte è enorme (potenziale stimato in 120 miliardi annui), e dall’altro alle dichiarazioni della Commissione Europea di voler diversificare maggiormente il proprio approvvigionamento energetico e di GAS (il 27% del gas importato europeo viene dalla Russia, di questo il 50% transita per l’Ucraina; ed il 33% di petrolio), a cui hanno fatto seguito le ipotesi di stress test energetici per definire con precisione l’impatto di un eventuale stop delle forniture Russe e quelle di una agenzia unica di acquisto di energetici.

La crisi Ucraina, ancora in essere benché la disponibilità (non si sa quanto di facciata) di Putin a collaborare con USA e EU per la sua risoluzione mantenendo però legittimo l’esito del referendum separatista, ha messo l’Unione di fronte ad un rischio percepito ma mai affrontato realmente. Il principale partner energetico per l’Europa potrebbe essere proprio Obama che si è detto disponibile ad avviare le esportazioni di shale gas verso il vecchio continente (già iniziate con un accordo siglato da Enel ed Endesa), ma che richiederebbe importanti investimenti in infrastrutture di trasporto, stoccaggio e trasformazione e che quindi non può essere considerata una opzione per il breve termine. L’Europa del resto in tema di energia rimane ancora piuttosto arretrata, non è in grado di sfruttare in pieno le proprie risorse (come i giacimenti nell’Adriatico) e la frammentazione del mercato elettrico, così come dei sistemi di trasmissione, rende il mercato poco interconnesso ed estremamente eterogeneo per costi e qualità del servizio. Evidentemente il compito importante, ora di Oettinger, in futuro della nuova commissione energia della EU sarà quello di migliorare questo scenario ristrutturandolo in modo significativo.

La Russia, dal canto suo, con l’ultimo trattato, che per ora non prevede una moneta unica (ipotesi discussa) così come non comporta la libera circolazione delle persone (temuta da Astana, vista l’autorità con cui Putin difende le popolazioni che si sentono di etnia Russa assai presenti in Kazakistan) e che rimane limitato agli aspetti economico-commerciali, vuole continuare a mantenere il suo ruolo da grande player mondiale messo in discussione da stati più o meno emergenti che crescono a tassi ben superiori rispetto a quelli di Mosca. L’energia, e la fame che il mondo ne ha,  è il grimaldello che apre le porte alla Russia e le mire egemoniche del Cremlino si evincono anche dalle strategie delle sue multinazionali Gazprom, Rosneft e Lukoil che si stanno muovendo a mezzo di importanti acquisizioni in tutti i settori direttamente o indirettamente coinvolti con gas e petrolio, dal trading di commodities fino alla chimica che di petrolio si nutre. Le operazioni di M&A in Europa operate da Gazprom, Rosneft e Lukoil (quest’ultima principalmente nell’est del continente) sono monitorate, forse con ritardo, dalla Commissione, per evitare, in particolare per quel che concerne gasolio e derivati, di dipendere quasi esclusivamente dai colossi ex sovietici. Tale questione mette in risalto un ulteriore problema del quale la commissione energia EU, ma anche i singoli stati e le multinazionali del settore, dovranno discutere, ossia cosa fare di vecchie centrali elettriche ad olio o raffinerie non più in produzione perché non competitive  e sempre fuori mercato che dovranno prima o poi essere necessariamente dismesse o riconvertite non senza costi che le aziende private ed i singoli stati membri, alla luce della situazione economica in essere e dei vincoli di bilancio, non possono accollarsi in autonomia.

30/05/2014
Valentino Angeletti
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Tre elementi del bilaterale Italia-USA, senza perdere di vista Europa, Cina e Russia

Sì è concluso il viaggio del Presidente USA in Italia. Ovviamente Obama ha mostrato tutto il suo apprezzamento per le personalità ed istituzioni che ha incontrato: dal Papa che ammira profondamente, che potrebbe essere un’icona a Stelle e Strisce e col quale ha parlato di temi etici, ma anche della povertà dilagante, della fame e della crescente disuguaglianza che i due leader vorrebbero debellare a cominciare dalle forme più estreme; al Presidente della Repubblica Napolitano con il quale vi è una lunga amicizia e con cui ha parlato tra le altre cose dei temi internazionali e della Russia che il Presidente italiano non vorrebbe isolare, ma riavvicinare con la diplomazia; fino a concludere con l’incontro con il Premier Renzi.

Poiché i convenevoli, quasi eccessivi, sono esternazioni, anche se sincere, di certo rituali che si rinnovano ad ogni incontro istituzionale tra Leaders (ricordiamo gli incontri tra Merkel e Monti e Letta prima e Renzi poi, oppure quelli tra lo stesso Obama, con i predecessori di Renzi), non c’è troppo da crogiolarsi per questa “profonda sintonia” verbale. Occorre guardare oltre alla dichiarata stima, all’appoggio alla politica di Renzi, al processo riformatore ed ai complimenti per l’energia che il nostro Premier indubbiamente mostra nell’aggredire i problemi, e forse la parola energia non è sta usata a caso perché il tema energetico è di primo piano per analizzare alcuni aspetti.

Innanzi tutto Obama inserisce il viaggio in Italia, che aveva come primo obiettivo l’incontro con il Papa, in un tour Europeo e medio orientale che ha visto, per la prima volta dal suo insediamento nel 2009, il presidente USA recarsi presso le più alte istituzioni Europee; dopo l’Italia sarà la vota di Riad, Arabia Saudita. La crisi Russo-Ucraina ha infatti mutato la politica estera statunitense, fino ad ora orientata ad un progressivo ritiro dal Mediterraneo e dal Medio-Oriente perché la rivoluzione dello Shale Gas stava (e sta) portato gli States verso l’indipendenza energetica. Il presidio strategico della zona era garantito dalle basi statunitensi e NATO presenti nei paesi alleati, come appunto l’Italia, quindi una riduzione dell’impegno militare poteva avere un senso, considerato l’approvvigionamento energetico interno ormai raggiunto e l’abbattimento dei costi che ne sarebbe derivato.
Ora le cose stanno cambiando, già da svariati mesi si è assistito ad un escalation delle dimostrazioni di forza di Putin ed il timore degli USA è che la dipendenza energetica dell’Europa (Stati dell’ex blocco sovietico, ma anche Germania ed Italia) nei confronti della Russia porti il vecchio continente ad essere eccessivamente clemente con Putin al quale saranno dirette sanzioni via via crescenti.
Nella stessa ottica si inseriscono il piano di aiuti (tra i 10 ed i 13 miliardi di $) che l’ IMF varerà a supporto dell’Ucraina, la quale non può più contare sull’appoggio russo ed alla quale Putin e Gazprom stanno chiedendo di saldare i debiti per le forniture (qualche miliardo di $) intimando lo stop delle esportazioni di gas, ed il via libera proprio di Obama alle export di gas naturale dagli Usa verso le coste europee.
Si ricorda che la maggior autonomia energetica del continente è uno degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea.
La questione dell’energia è stata, è tuttora, e lo sarà sempre di più, di decisiva importanza per lo sviluppo e la crescita dei paesi, per i rapporti di forza e le strategie geo-politiche.
Le grandi multinazionali a cominciare da Gazprom e Rosneft (la seconda produttrice di Oil dopo la saudita Aramco) stanno ampliandosi nei settori affini, ultimamente Rosneft, già al 20% di Saras, ha rilevato il 13% di Pirelli (circa 500 miliardi di $ di investimento in un settore, quello degli pneumatici, molto vicino al petrolifero) e si sta apprestando, sempre che gli USA non blocchino l’operazione per le tensioni con la Russia, a rilevare la divisione commodities di Morgan Stanley, deputata al trading di materie prime appunto. Gazprom agisce pressappoco allo stesso modo sul fronte del gas e dell’upstreaming. Non sono da meno le grandi compagnie di stato cinesi, che operano nei settori energy, oil&gas e delle terre rare eseguendo acquisizioni in tutto il mondo, incluse Canada, Africa ed USA (dove alcune operazioni sono state bloccate dal Governo statunitense). La banca popolare cinese ha superato quota 2% del capitale di Enel ed ENI attingendo al flottante e diventando il secondo azionista dopo lo Stato.

Un secondo punto strettamente legato alle crisi internazionali è la spesa per la difesa: “la sicurezza non è gratis”, dice il Presidente statunitense.
Obama ha esplicitamente dichiarato che se gli USA, grande potenza con il più grande esercito e quindi spesa in valore assoluto, impegnano il 3% del PIL sulla difesa, analoga proporzione deve essere rispettata anche in Europa. L’attuale impegno europeo dell’ 1% del PIL crea uno squilibrio troppo grande. Forse qualche velato riferimento ai tagli italiani, parzialmente connessi all’acquisto in 7 anni dei 130, ridotti a 90, caccia F35 di produzione americana da circa 100-135 mln di € cadauno, sulla spesa militare stimata attorno ai 16 miliardi di € annui si è percepito.
La risposta di Renzi ha lasciato aperte tutte le porte, assicurando, come ha sempre fatto fino ad ora, il rispetto degli accordi, ma con un occhio al budget, visto che comunque i mercati, che qualche influenza politica oltre che finanziaria ce l’hanno, intimano la riduzione strutturale del debito.
La questione sulla spesa militare, sulla difesa, ed in particolare sulla NATO è tutt’altro che chiusa e risolta e necessiterà di ulteriori dialoghi.
La struttura europea fa sì che in campo militare non vi sia né coordinamento reale tra gli Stati membri, né un esercito (di mezzi e uomini) comune, né un piano strategico condiviso, è quindi evidente la dipendenza in questo settore dall’alleato USA e dalla NATO.

L’ultimo punto che vogliamo affrontare è quello del rapporto economico Europa-USA. Nei prossimi mesi dovrebbe essere sottoscritto il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), un accordo che riduce le barriere commerciali tra USA ed Europa e che rappresenta per ambedue le economie e per il mondo in generale un passo importante. Secondo alcune stime della Commissione Europea, potrebbe portare benefici per € 120 mld in Europa, € 90 mld in USA, € 100 mld nel resto del mondo.
Il rapporto Europa-USA però non può prescindere dalla ripresa dell’economia europea.
Infatti, se i provvedimenti di Obama in USA hanno ridato slancio, non vale lo stesso per il vecchio continente che continua, mediamente, ad affrontare notevoli difficoltà. Obama ha sottolineato che una ripresa europea è fondamentale per gli scambi USA-EU e per il rafforzamento dell’ Import-Export. A dire il vero con il livello di cambio in essere a beneficarne sarebbero più le esportazioni USA e quindi capitale europeo che attraverserebbe l’Atlantico, che non viceversa.
Perché questa ripresa avvenga il Presidente ha indicato in modo non troppo nascosto che alcuni Stati più forti (implicito riferimento alla Germania) devono abbassare il loro surplus commerciale incrementando i loro consumi interni rispetto alle esportazioni e facendo da locomotiva a tutto il continente. Prima ancora di ciò è però necessario il rilancio generalizzato dei consumi e del potere d’acquisto con una politica meno austera e vincolata a rigidi parametri, misure volte a lottare contro la disoccupazione dilagante ed una politica monetaria realmente accomodante. L’allineamento con Renzi e col PSE a guida Schulz è lampante.
Renzi si è detto ispirato dalla politica di Obama che rappresenta un suo modello, ma questo modello, che fin qui ha funzionato, è bene ricordare che è fatto di spesa pubblica e deficit oltre il 10%, un debito oltre i 17’000 mld $ (che ha comportato la revisione del tetto rischiando il fiscal cliff) detenuto in gran parte dai cinesi, una politica monetaria fatta di QE e di stampaggio di nuove banconote indirizzata quasi mese per mese dai dati sulla disoccupazione (obiettivo al 6.5%), grandi investimenti pubblici, sostegno al lavoro decisamente molto flessibile, sostegno al reddito con l’introduzione di un salario minimo e non con la competizione sui prezzi e salari come accade in Italia esponendola al rischio deflattivo, regime fiscale meno oppressivo, norme più chiare, e, non in ultimo (non ci stancheremo di ripeterlo vista la sua importanza), la rivoluzione energetica. Tutto ciò è stato in grado di innescare un meccanismo di re-industrializzazione degli USA attirando capitali ed imprese estere o che avevano delocalizzato.
Sostanzialmente il contrario di quanto è stato seguito in Europa e di quanto Renzi, Schulz e tutti i sostenitori di un’Europa sì più flessibile, ma al contempo più forte, omogenea (norme, finanza, banche, fisco, ecc) solidale e coesa, dovranno cercare, magari in prima istanza parzialmente, di far approvare alla burocrazia europea ed alla Germania.
Germania che si appresta ad ospitare, quasi fosse una contromossa, la visita del Presidente Cinese Xi Jinping, certo che tra i due stati si potrebbe creare un legame economico-commerciale forte ed indissolubile. In effetti pensare all’unione di due economie e manifatture simili, potenzialmente in grado di coprire da sole le proprie esigenze di materie prime ed il fabbisogno di gran parte del mondo rivolgendosi sia ai benestanti, con prodotti di alto di gamma made in Germany, sia alle masse, grazie ai prodotti a basso costo cinesi, può far tremare i polsi a tutti competitors.

L’asse e la condivisione degli obiettivi, che stando alle dichiarazioni pare esistere, tra Schulz, candidato PSE alla presidenza della Commissione EU, e Renzi, Premier in Italia la quale a luglio avrà i sei mesi di presidenza europea, si arricchisce di un terzo membro, Obama e gli USA.
Questa visione comune deve essere sfruttata e supportata da altri attori, come Francia e Spagna, per dirigere, ed Obama in questo anno di elezioni di medio termine dovrà partecipare attivamente spendendosi di persona, l’Europa verso un modello più sostenibile e riformatore, che non porti allo sfascio economico-sociale, all’ulteriore impoverimento della classe media già in via di estinzione ed al rafforzamento delle derive anti europee.

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27/03/2014
Valentino Angeletti
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